Profilo
Volevo fare “il neurologo dei vecchi” e ci sono riuscito!
Appena laureato nel luglio 1969 (con un po’ di anticipo, avevo compiuto da un mese 24 anni) ho dovuto aspettare febbraio dell’anno successivo per superare gli esami di stato che mi avrebbero consentito di esercitare come medico ed emigrare velocemente nel nord-est perché questa area di Italia offriva la possibilità di esercitare in ospedale, subito. E di imparare sul campo. Pochi mesi a Valdobbiadene e poi a Udine, passando per qualche condotta medica e per il servizio militare come sottotenente medico.
Ho avuto maestri a Catania, l’anatomo-patologo D’Arrigo su tutti: le sue lezioni erano come un giallo ben costruito, dovevano finire alle 13 ma continuavano anche per un’altra mezz’ora; era capace di dirci la volta successiva che quel polmone non aveva nulla di quello che ci aveva prospettato, ma un’altra malattia di cui subito dopo ci parlava con passione vera. Mi sono specializzato a Modena con un altro maestro, Ennio De Renzi, capace persino di imitare i pazienti con una malattia pur di farci “capire”. A Udine nei quasi 30 anni di attività nel reparto neurologico ospedaliero (+ 6 omaggio, da “volontario” nell’ambulatorio per i disturbi cognitivi!) ho continuato ad imparare grazie al lavoro quotidiano accanto ai miei colleghi, agli specializzandi, ai preziosi professionisti non medici, ed infine dalla saggezza, dalla pazienza e dalla sagacia di pazienti e loro familiari.
Andato in pensione nel 2000 per “sfinimento burocratico” e a causa del livello raggiunto sotto il profilo umano e professionale (la Medicina della fretta, la perdita di quei valori rappresentati dal “giro” con altri colleghi che permetteva di guardare con più occhi e cervelli ogni caso clinico e umano), durante i successivi 6 anni-omaggio nell’ambulatorio per i disturbi cognitivi, a partire dal 2001 ho cominciato a frequentare il gruppo di geriatri, internisti, psichiatri, neurologi, psicologi, sociologi riuniti attorno alle figure di Marco Trabucchi, Umberto Senin, Orazio Zanetti, Alessandro Padovani ed altri ancora, i fondatori dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria (AIP), di cui ho ricoperto per pochi anni il ruolo di responsabile regionale del FVG, collaborazione che sta continuando nell’AIP Triveneta come consigliere.
Dalle esperienze variegate di questo gruppo ho continuato a imparare, più di tutto ho acquisito una “nuova” sensibilità ai problemi degli anziani che ho coniugato con le mie predisposizioni. Confesso, infatti, di essere da sempre affascinato da un aspetto assolutamente non marginale, ma reso periferico da chi non ha l’interesse ad affrontare la complessità delle condizioni mediche e sociali che coinvolgono soprattutto gli anziani: mi sono occupato “da sempre” di malattie da farmaci in particolare nei soggetti più indifesi, quasi sempre, appunto, gli anziani.
Anzi, le anziane, perché sopravvivono numerose agli uomini per circa 5 anni, sono le ospiti di maggioranza delle case di riposo, rispetto agli uomini sono più intensamente ed a lungo fragili negli anni finali della vita, consumano una quantità superiore di farmaci, rispondono ad essi in maniera differente e con un carico di maggiori effetti avversi.
E’ una delle pagine intriganti della Medicina di genere, tema che cerco di diffondere dal 2012.
Il genere, cioè quell’insieme di differenze sessuali, ma anche genetiche, culturali, sociali e comportamentali che strutturano l’identità di ciascun individuo, influisce biologicamente sul modo in cui una malattia si sviluppa, viene diagnosticata e curata. La medicina di genere si occupa di questo vuoto nelle conoscenze ed affronta lo studio delle patologie che colpiscono entrambi i generi, hanno storia clinica diversa e richiedono una risposta medica e organizzativa diversa. Questa diversità ignorata ha comportato e comporta tuttora in campo medico sottovalutazioni, errori diagnostici e terapeutici.
Cooperando per anni con l’Associazione Alzheimer di Udine, anche in qualità di consigliere, ho scritto nel 2011 con altri collaboratori un manuale, La Malattia di Alzheimer. Questa sconosciuta… e un manuale sulla prevenzione della fragilità e le demenze, I nuovi anziani… sani e attivi, insieme al collega internista Roberto Colle.
Nel 2013 e 2014 ho accettato la sfida con l’età attraverso un incarico che poteva limitare la mia libertà professionale e, chiamato da un manager illuminato, ho lavorato nell’ambulatorio neurologico del distretto socio-sanitario di Codroipo, in buona parte dedicato agli anziani ed alle persone con demenza. Sono stato “licenziato con lode” per una legge che impedisce a chi è in pensione dopo avere lavorato nella stessa azienda o simili di ottenere un incarico (confesso: non capisco molto di burocrazia).
Sia al momento del pensionamento, che alla fine dei 6 anni-omaggio e poi nel periodo di Codroipo, ho chiesto se esistesse una legge di buon senso che mi consentisse una uscita graduale in grado di permettermi di formare per qualche anno un/una collega giovane. Non esiste, ma l’ EMPAM la sta proponendo come intelligente “staffetta generazionale”. Vedremo!
Arrivo all’oggi. La mia esperienza e qualche incitamento necessario a sgualcire il mio iniziale pudore mi hanno portato, alle soglie dei 70 anni, a scrivere un libro sulle malattie da farmaci negli anziani: nel 2014 Maggioli ha pubblicato “Malati per forza: gli anziani facili, il medico e gli eventi avversi neurologici da farmaci“. Mentre lo scrivevo, non sazio, ho portato a termine nel 2015 un Progetto di supervisione di anziani in residenze “Uno sguardo in più sull’anziano fragile in residenza e in diurno” i cui risultati e commenti sono consultabili (in attesa di modifiche per pubblicazione in una rivista scientifica) su www.alzheimerudine.it. La ricerca ha confermato quanto sospettavo: la presenza di una sottovalutazione del fenomeno “demenze”, di diversi casi funestati da eventi avversi da farmaci in un clima dei pesanti segni dell’ageismo (tanto è vecchio…) e di scarsa conoscenza gerontologica degli infiniti aspetti medici, assistenziali, sociali (e umani) da parte di chi lavora con i vecchi.
Il libro Malati per forza inizia con una frase di Ippocrate… se si udrà un medico di schiavi, ti rimprovererà: “Ma così tu rendi medico il tuo paziente!”. Proprio così dovrà dirti, se sei un bravo medico! … e segnala nella parte conclusiva un editoriale del BMJ del 2013 dal titolo “Let the patient revolution begin” (Richards et al.) in cui si sostiene che l’unica possibilità per migliorare l’assistenza sanitaria è rappresentata da una piena collaborazione tra medici e pazienti, perché questi ultimi, meglio dei medici, comprendono la realtà delle loro condizioni, l’impatto che la malattia e il suo trattamento hanno sulla loro vita, e come i servizi potrebbero essere meglio progettati per aiutarli. La rivoluzione in realtà aveva preso le mosse da un seminario di 5 cinque giorni tenutosi nel 1998 a Salzburg (Austria) dal titolo Through the Patient’s Eyes in cui i 64 partecipanti provenivano da 29 paesi (dagli USA alla Cina, dal Sudafrica alla Romania) ed erano espressione di mondi diversissimi: operatori sanitari, giornalisti, attivisti di diritti umani, accademici, insegnanti, gruppi di auto-aiuto, filantropi, artisti, esperti di diritto, autori di romanzi. Le posizioni emerse da quello storico incontro posso essere riassunte: una maggiore partecipazione e responsabilizzazione nei temi della salute da parte del medico, ma anche dei professionisti non-medici fino al cittadino, confermando la necessità e l’impegno a cambiare rotta e tempi all’attuale medicina della fretta.
Le specializzazioni che spezzettano il corpo del paziente e l’assenza di parole trasmettitrici di competenza e motivate da disponibilità rende la medicina distante dalla gente, poco affabile ed affidabile, crea i presupposti dell’abusivismo medico e della ciarlataneria, del ricorso ai falsi profeti e ai guaritori, figure che hanno vittoria facile sulla credulità popolare indebolita dalla fragilità provocata dalla sofferenza. I ciarlatani, a differenza della scienza ufficiale, hanno “il merito” di occuparsi della persona e, guarda un po’, in maniera involontaria ci indicano la via affidabile da seguire, la strada dell’empatia che una parte della classe medica (ma non solo) ha smarrito.
Bisogna dedicare più tempo all’ascolto e all’informazione per evitare anche la scarsa aderenza dei cittadini ai consigli ed alle cure mediche.
Convinto che la relazione medico-paziente e medico-altri professionisti socio-sanitari debba cambiare, sto cercando con molta fatica di far conoscere delle altre figure che collaborano col medico a vario titolo il tema della fragilità e delle malattie da farmaci negli anziani (e non…) e di formare i professionisti, i pazienti, i loro familiari e gli stessi cittadini.
Il mio lavoro quotidiano e il libro sono dedicati, quindi, anche a chi non sa e desidera sapere, agli anziani sani, fragili o malati, ai loro familiari coinvolti nel difficile compito di assistenza, a tutti coloro che hanno il sospetto di trovarsi di fronte ad una possibile malattia da farmaci.
I passeggeri devono condividere il viaggio insieme ai medici…