Il manuale della prevenzione del decadimento cognitivo
di Manuela Rinaldi e Martina Bora. Edito (al momento, estate del 2022) dalla Regione Marche.
Per contatti: psico.manuelarinaldi@gmail.com
Il dramma della solitudine amara, dell’isolamento, dell’assenza di una rete familiare e sociale
L’ennesimo ritrovamento di persone in stato di mummificazione, stavolta una coppia di persone definite, a torto, “anziane” (66 e 72 anni): vivevano in un elegante quartiere residenziale, il Villaggio Primavera, a Udine. Ne ha dato notizia il 13 aprile 2022 il giornale il FRIULI e poi il resto della stampa. Assenti dalla vita di tutti gli altri dall’autunno precedente, titoli di coda, vuoti a perdere in una società sempre più distratta e incollata al benessere solitario del proprio ombelico.
Non è la prima volta che succede e non è stato stabilito neppure il record di trasparenza, di inappartenenza e di assenza ingiustificata sociale. Sta accadendo sempre di più nel nostro mondo ipercollegato via web e tuttavia in preda alla solitudine della ingiusta distanza. Aderisce alla cronaca di questo fine inverno un’altra scoperta solitaria e mummificata: per due anni Marinella Beretta è rimasta seduta sulla sedia del suo tinello, in una villetta alle porte di Como. Ha scritto Massimo Gramellini sul Corriere della sera: “Per due anni nessuno l’ha disturbata. Non un venditore di pentole, un vicino di casa, un parente alla lontana. Nessuno. Marinella era la solitudine fatta persona. Come tanti anziani nella sua situazione, aveva ceduto la nuda proprietà e tenuto per sé l’usufrutto. In un giorno imprecisato dell’autunno del 2019 si è seduta su quella sedia, dove un malore le ha staccato la spina. La morte istantanea che tutti sognano, la morte solitaria che tutti temono. Qualche mese dopo è arrivata la pandemia e i vicini hanno pensato che Marinella si fosse trasferita, ma evidentemente la conoscevano talmente poco da ignorare che non aveva altri affetti presso cui rifugiarsi. C’è voluto il vento di questi giorni per attirare l’attenzione non tanto su di lei, ma sugli alberi del suo giardino. Temendone la caduta, qualcuno ha chiamato il nudo proprietario, lui ha cercato Marinella e i vigili del fuoco hanno scassinato la porta, trovando sulla sedia del tinello quel che ne restava”.
Ma il terribile record italiano, per quanto io ne sappia, appartiene al prof. Lelio Baschetti, il cui cadavere è stato trovato nella propria abitazione fortuitamente (!) in seguito a un tentativo di scasso nel marzo 2018. Era «scomparso» da almeno 7 anni. I familiari pensavano che fosse in viaggio.
Il Giappone da qualche anno segnala il fenomeno delle morti invisibili dei dimenticati: con il termine kodokushi (letteralmente “morte solitaria”) indica la morte in solitudine di una persona. Le tracce sui pavimenti dei contorni biologici residui di ciò che era un tempo un corpo sono sconvolgenti.
Ha un avvio forse avvilente questa mia presentazione del libro LA COMBRICCOLA. IL MANUALE DELLA PREVENZIONE DEL DECADIMENTO COGNITIVO. Mi auguro sinceramente che non rechi danno alla lettura di ciò che segue, dei suoi contenuti avvincenti, positivi e propositivi che le due giovani brillanti professioniste, due mie amiche, Manuela Rinaldi e Martina Bora, hanno sviluppato sul campo, negli anni. Nel libro, nei loro democratici e generosi suggerimenti da “copiare”, si coltiva invece la speranza.
Ci siamo imposti di nutrire il diritto alla speranza in uno scenario di malattie che ne è dolorosamente avaro ed è accaduto che la scienza ci ha ripagati! Abbiamo gioito per il recente accumularsi a ritmo incalzante di evidenze scientifiche che ci esponevano le scappatoie possibili da un destino di fragilità e di demenza: numerose ricerche, infatti, hanno collegato da tempo la solitudine ad un’accelerazione della fragilità, nonché ad ipertensione, cardiopatie, ictus, depressione, alterazioni immunitarie e, appunto, demenze.
La formazione apposita di una commissione di esperti internazionali nel luglio 2017 (1) ha pubblicato sull’autorevole rivista scientifica The Lancet i risultati di un’ampia ricerca: il lavoro ha identificato in tutto nove fattori di rischio (modificabili!) da combattere per tentare di ridurne i casi di demenza, Alzheimer soprattutto, di oltre un terzo (circa il 35%). Insomma, ad un precedente elenco di fattori di rischio noto dal 2011 che ne segnalava sette, gli esperti hanno aggiunto due “nuovi”: la sordità in età media (e anziana) e la solitudine “non desiderata”, quella che preferisco definire con l’aggettivo amara per distinguerla dalla beata solitudo, ovvero quella scelta da chi si trova in personale equilibrio psicofisico nel vivere da solo.
Da quel momento diabete mellito, ipertensione arteriosa e obesità in età adulta, fumo, depressione, bassa scolarità, sedentarietà avevano ufficialmente altri due compagni di sventura, pur sempre modificabili!
I due nuovi fattori di rischio, peraltro, un po’ come i precedenti, apparivano facilmente associabili tra loro e, appunto, con gli altri. Un esempio: la sordità, un fenomeno progressivo e spesso silente e del quale gli individui sono a volte inconsapevoli a differenza di quanto notano invece conviventi e conoscenti, crea difficoltà a entrare in comunicazione con gli altri provocando di conseguenza un effetto negativo considerevole sulla vita fisica ed emotiva, inducendo insoddisfazione e un minor coinvolgimento nelle attività sociali e nei rapporti interpersonali, tale da condurre a isolamento e spesso ad una maggior incidenza di depressione, un’altra condizione che rientra, come già visto, nell’elenco dei fattori di rischio per demenze.
In un successivo lavoro del 2020 dello stesso gruppo (2) sono stati aggiunti altri tre fattori di rischio modificabili: alcol, traumi cranici e inquinamento atmosferico.
Da tempo, però, coltivo una sensazione basata su dati scientifici e sulla mia esperienza: bisognerà aggiungerne altri, come la qualità e quantità di sonno, lo stress cronico, i disturbi visivi, e infine alcune categorie di farmaci, la mia personale ossessione, in particolare quelli ad azione anticolinergica, ovvero “contro l’acetilcolina”, un neurotrasmettitore essenziale a tutto l’organismo, cervello (e memoria) compreso. Tra queste circa 600 sostanze di normale prescrizione, vere mine vaganti che servono a curare malanni diversissimi, ci sono nomi noti a tutti, come il Buscopan.
I farmaci non devono essere demonizzati ma usati in maniera faticosamente appropriata! A chi mi scrive, dopo avere consultato il mio sito, “Lei che è contro i farmaci…” ho una risposta pronta, non devo fare altro che un copia\incolla che inizia con “Solamente gli imbecilli possono essere contro i farmaci… I farmaci vanno usati in maniera appropriata…”.
Non posso soffermarmi, ovviamente, a commentare singolarmente, a parte la solitudine, ogni singolo fattore di rischio. Nel bel sito di Lidia Goldoni www.perlungavita.it potete trovare tre miei articoli sulla Prevenzione della fragilità e delle demenze, nonché altri due sul tema della solitudine. Vorrei però raccomandare la lettura dell’esperienza sanitaria di pochi anni fa del professor Richard Charles Horton, caporedattore dell’autorevole rivista scientifica The Lancet: https://perlungavita.it/argomenti/operatori-e-servizi/1451-perche-i-medici-non-toccano-piu-i-pazienti-riflessioni-all-epoca-del-coronavirus-e-della-giusta-distanza.
L’ho scritto durante il periodo di lockdown del 2020 e, dunque, in un momento di “abbracci mancati”, tuttavia non mancando di segnalare la rarefazione – iniziata già da tempo! – di vecchie consuetudini (detto con delusa ironia) come il palpare una pancia, una qualsiasi parte del corpo a scopo diagnostico. Aggiungerei anche a scopo “curativo” in quanto toccare un corpo, accarezzarlo, abbracciarlo, provocano tra l’altro un aumento di ossitocina, la sostanza chimica basilare per la connessione sociale, un ormone che raggiunge attraverso il sangue e collega tra loro vari organi, un ormone della calma e della tranquillità, dell’armonia sociale, dell’intimità. Ma è anche un neurotrasmettitore del nostro sistema nervoso autonomo, quell’apparato complicato e diffuso nel nostro organismo che “non comandiamo”, che ci fa battere il cuore, aumentare la pressione, arrossire, sudare ed altro ancora.
Senza inquietarvi più del dovuto, ma la tentazione è forte, rientro docilmente nel territorio della speranza “responsabile”: tutti i fattori di rischio sono definiti modificabili se riconosciuti tempestivamente ed affrontati in maniera corretta. E’ uno degli scopi di questo libro il cui il tema conduttore è legato alla lotta alla solitudine e a ciò che può comportare.
Come definirla? Si tratta di uno stato emotivo legato alla percezione dell’isolamento. Non è classificata come malattia o disturbo mentale ed è distinta da altri stati mentali come ansia e depressione, ma può portare comunque a sentimenti di disperazione, a noia, ad un atteggiamento negativo verso sé stessi e gli altri. Rappresenta un problema per la salute pubblica che impatta sugli anziani da diversi importanti punti di vista, ma non può essere curata tramite farmaci. Ma per quanto noi medici non possiamo trattare la solitudine farmacologicamente, una soluzione potrebbe consistere nel non dimenticarci delle cosiddette prescrizioni sociali, ossia modalità di indirizzo a risorse per il supporto sociale, come il volontariato, le visite a musei locali o a gallerie d’arte, i gruppi di cammino e un infinito altro ancora.
Tanto più che, negli incombenti tempi di magra per la nostra sanità pubblica, la solitudine amara é un importante fattore che contribuisce allo sfruttamento delle risorse sanitarie in vario modo, non ultimo a causa dell’incremento della ricerca del contatto sociale mediante le visite mediche. Tasto dolente quello del rapporto medico paziente o dell’attuale “medicina della fretta”. Si è passati da un medico che sapeva un po’ di tutto alla frammentazione specialistica che peraltro un medico (chi?) dovrebbe coordinare nella moltitudine delle competenze specifiche, ricordandosi ogni tanto di riordinare quella che amo chiamare con sarcasmo “la terapia immutabile” in un soggetto, l’anziano, che è di norma variabile nelle condizioni di salute ed ha necessità, per questo motivo, di una revisione del suo stato fisico e mentale nonché delle terapie farmacologiche, un po’ come facciamo periodicamente con la nostra autovettura. Ma con intervalli molto più ravvicinati, responsabili!
Per contrastare la solitudine appare fondamentale, in definitiva, investire con ampia facoltà di agire con diverse strategie, utilizzando fantasia ed empatia. E’ il filo conduttore dell’esperienza tradotta in questo progetto, in questo libro.
“Le società che non sono state in grado di riparare le anemiche reti sociali e le cure non coordinate causate dal Covid-19 sono assolutamente incomplete” scrive Lauren Gilstrap commentando pochi mesi fa i dati sulle demenze negli USA (3). Solitudine e Covid hanno creato un mondo a parte, un prezzo altissimo pagato dalle persone fragili e dalle loro famiglie, e meriterebbe uno spazio a sé per un ampio commento.
Hanno fatto bene le due autrici di LA COMBRICCOLA ad attingere alla memoria delle famiglie ramificate e caotiche dell’Italia contadina, le ampie “famiglie orizzontali”, al cui interno le solitudini si sopportavano e si accudivano a vicenda. La famiglia moderna, spesso “in verticale” (immaginate una sessantenne che ancora lavora, bada ai genitori fragili o malati, al marito, ai figli, magari pure ai nipoti) è ridotta progressivamente a un pugno sempre più stretto. Alcuni dati dell’ISTAT del 2021 immaginano “come saremo nel 2070”, parlano di incubo demografico, oscillante tra la sempre più bassa natalità e la corsa prometeica della longevità, concludendo che saremo di meno (- 12 milioni?), con più anziani e con famiglie sempre più rimpicciolite! L’ISTAT, impietosamente, descrive un futuro in cui più di una famiglia su tre sarà composta da una persona sola (famiglie unifamiliari) e le coppie senza figli potrebbe sorpassare quelle con figli (magari solo uno…).
Scrivono Manuele e Martina: “Il gruppo sociale che si instaura crea poi un contesto protettivo e terapeutico contro la fragilità percepita nell’anziano: in un gruppo in cui ognuno presenta iniziali disturbi di memoria o lievi disabilità fisiche, proprio in virtù del fatto che è una situazione condivisa, questa diventa normalità e il concetto di “disabilità” si abbatte… La forza del gruppo sta proprio in questo: la condivisione della fragilità, il ritrovarla negli altri per poterla trasformare poi in semplice e normale situazione condivisa.
Scendendo nei particolari: “Le attività della combriccola agiscono direttamente sui fattori protettivi e comportano un potenziamento della riserva cognitiva… L’isolamento, come la depressione, mimano le iniziali manifestazioni cliniche del deterioramento cognitivo, tanto da rendere insidiosa anche la diagnosi differenziale, e rappresentano dei fattori di rischio per la slatentizzazione della patologia… Il vantaggio di questa metodica è che permette di intervenire su domini cognitivi specifici, individuati tramite valutazione, con un approccio rafforzativo/di mantenimento oppure compensativo, proprio delineando i meccanismi cerebrali… La Combriccola é socializzazione, esercizio fisico ed allenamento cognitivo che sono l’equipaggiamento più efficace contro un invecchiamento patologico.
Desidero ricordare che Manuela e Martina sono affiancate per la parte “fitness” da Lorenzo Pierpaoli. Non è un compito marginale, anzi. L’attività fisica ricreativa possiede un ruolo centrale nell’ambito della gestione del tempo libero degli anziani, e questo sostanzialmente per due motivi. Il primo è dovuto ai benefici che comporta un ottimale stato di efficienza fisica, il secondo è determinato dalla possibilità che offre l’utilizzare il tempo in movimento: un atteggiamento positivo verso la vita, l’incontro con altre persone con cui condividere un interesse e la possibilità di intrecciare e consolidare relazioni sociali positive (a loro volta fattori protettivi). Sono molte le attività motorie che rispondono a questi due requisiti. Sport ideali sono nuoto, ciclismo, ma può bastare la camminata, magari “veloce” (se allenati) e con le racchette: quando si vuole circoscrivere il campo ad attività fisiche accessibili a tutti, facili da eseguire, non costose e praticabili durante tutto l’arco dell’anno, la scelta cade sul semplice camminare. Camminare è indubbiamente l’attività fisica ideale in quanto non richiede attrezzature o abbigliamento particolari, può essere praticata da (quasi) tutti, si svolge all’aperto (e spesso col beneficio delle radiazioni solari sulle ossa, sull’umore, ecc.), condizioni climatiche permettendo, non fa perdere tempo nei preparativi, non sovraccarica la colonna vertebrale e le articolazioni degli arti inferiori (se il peso corporeo non è eccessivo…).
Infine, un ulteriore elemento di rilievo, di cui è ricca la letteratura scientifica (e certamente non per intervento della lobby delle scarpe!): l’attività motoria ricreativa possiede la proprietà di scatenare certi fattori di crescita neuronale (ad esempio il BDNF) e di “curare” persino la depressione.
Da quando ho pubblicato Malati per forza (4) mi capita di suggerire, mentre scrivo una dedica ai futuri combattenti civili (è una guerra senza armi quella di coloro che lavorano nella complessità e desiderano con forza debellare le “malattie da farmaci” cominciando a conoscerle!), di iniziare la lettura del libro dalla parte “meno triste”, dai suggerimenti finali per prevenire la fragilità e le malattie neurodegenerative, con un iniziale “Fatti non foste a viver da seduti”, parafrasando Dante.
L’esercizio è un “farmaco” che opportunamente somministrato, previene le malattie croniche da inattività e ne impedisce o posticipa lo sviluppo, garantendo considerevoli vantaggi sia alle singole persone che alla loro famiglia e al sistema sanitario, riducendo ospedalizzazioni e uso di farmaci. Camminare in compagnia stimola la comunicazione e la discussione. Alcuni studi suggeriscono che sia gli anziani sani, sia quelli affetti da lievi problemi cognitivi, ricordano le parole meglio dopo avere svolto alcuni esercizi per la memoria. Tuttavia, in base ad altri lavori, gli stessi miglioramenti si ottengono anche avendo una semplice conversazione. Sembra pertanto che l’interazione sociale (ne scriverò fra poche pagine) garantisca gli stessi risultati degli esercizi di natura cognitiva. Camminare da soli offre invece l’opportunità di riflettere e di “creare” idee e collegamenti tra fatti, spesso con sorprendente lucidità. Portatevi carta e penna!
Andare a passeggio è la forma ideale di esercizio fisico, non costosa e altamente efficace nel promuovere la propria salute. Oltretutto, è un’attività inclusiva, che permette alle famiglie, agli amici, di avere un interesse in comune, di comunicare (!) e di stare insieme all’aria aperta. Intraprendere con costanza un’attività fisica idonea serve, oltre al resto, a conoscere il proprio corpo, ad esplorare con curiosità l’ambiente, a mettersi in gioco, a prendersi cura di sé e dedicarsi tempo ed energie. Informare, educare, sollecitare ed accrescere la motivazione a volersi bene per poi ottenere una piena adesione al programma motorio, occupandosi del proprio benessere, è un obiettivo alla portata di molti, da mettere in atto attraverso un cambiamento dello stile di vita.
L’attività fisica ricreativa andrebbe estesa al caregiver, la persona che si prende cura e assiste un malato, in quanto attenua le conseguenze dello stress, tra le quali depressione e ipertensione arteriosa. Il caregiver svolge un ruolo essenziale e deve essere aiutato e sostenuto nel suo impegno quotidiano, magari consentendogli di avere qualche ora libera per pensare a sé e alla sua salute. Ammalarsi per “eccesso di sacrificio”, duri al pezzo, non è utile a sé e agli altri.
In questi ultimi anni, diverse colleghe e colleghi “non medici” hanno richiesto, bontà loro, che scrivessi la prefazione al loro libro (5, 6, 7). Il motivo conduttore dei tre testi consiste nel proporre, prospettare, insegnare ad applicare le Terapie Non Farmacologiche (TNF), ovvero le strategie per affrontare i comportamenti altamente disturbanti nelle persone malate di demenza. Questo contributo di Manuela e Martina aggiunge un ulteriore bagaglio di opportunità, con dimostrata efficacia scientifica, per prevenire o almeno per allontanare nel tempo il grigio della mente. I deludenti farmaci “per la memoria” e gli abusati psicofarmaci al momento rappresentano solamente la ruota di scorta.
Ho un obbligo etico, due dediche per chiudere con riconoscenza il finale di questa presentazione. La prima è per Marco Trabucchi e Diego De Leo dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria. Nell’editoriale apparso nel primo numero del 2018 di Psicogeriatria (8), annunciando per il 15 novembre 2018 “End loneliness”, la Prima Giornata Nazionale contro la Solitudine dell’Anziano, hanno scritto: “È in ogni modo significativo che molti, con sensibilità e responsabilità diverse, si stiano impegnando per trovare risposte… Quasi nove milioni di italiani hanno paura di restare soli al momento del bisogno. Gli anziani sono i più insicuri di avere qualcuno che li sostenga in caso di necessità… Le dinamiche che portano l’anziano a vivere senza il supporto di altri sono complesse e quasi mai hanno una sola causa. Bauman ne l’Ultima Lezione (Ed. Laterza) ha sostenuto che il nostro tempo è governato da contingenze, accidenti e coincidenze. Su questa linea noi ci proponiamo un intervento equilibrato a fronte di dinamiche certamente di portata planetaria, cioè una prassi che qui ed ora va alla ricerca delle piccole cose che si possono fare e che nel loro insieme portano a qualche risultato… ottenendo così tanti small gains efficaci nel lenire le grandi paure del nostro tempo, all’interno delle quali la solitudine esercita una funzione di continua erosione del benessere”.
Ricordo l’anno in cui le persone smisero di guardarsi negli occhi. Non ci fu un grande cambiamento demografico. Sembrava semplicemente che la gente avesse rinunciato a stabilire rapporti con gli altri. Oggi questa città è uno dei luoghi più solitari della Terra. Le persone sono vagamente paranoiche, ipersensibili e interessate soltanto a se stesse. I redditi sono alti, il costo della vita astronomico, ma tutti hanno debiti, vivono in case da milioni di dollari e mangiano pizza da asporto. Se poi arriva il divorzio, il marito va via di casa e va a vivere sulla sua barca. E-mail di un californiano (9).
Con queste parole desidero ricordare John Cacioppo che ci ha lasciati da poco.
Piccola bibliografia
- Gill Livingston et al. Dementia prevention, intervention, and care. The Lancet Commission. Vol. 390 July 19, 2017.
- Gill Livingston et al. Dementia prevention, intervention, and care: 2020 report of the Lancet Commission. The Lancet, Vol 396, august 2020.
- Lauren Gilstrap et al. Trends in Mortality Rates Among Medicare Enrollees With Alzheimer Disease and Related Dementias Before and During the Early Phase of the COVID-19 Pandemic. JAMA Neurol. Published online February 28, 2022.
- Ferdinando Schiavo. Malati per forza. Gli anziani fragili, il medico e gli eventi avversi neurologici da farmaci. Ed. Maggioli 2014
- Ferdinando Schiavo. Prefazione del volume Il corpo nella demenza. La terapia espressiva corporea integrata nella malattia di Alzheimer e altre demenze. Elena Sodano. Ed. Maggioli
- Ferdinando Schiavo. Prefazione del volume Viaggiatori Controcorrente. Percorsi di benessere non farmacologico. Maria Silvia Falconi, Luca Lodi, Valentina Molteni, Orlando Prete. Editrice Dapero 2017.
- Ferdinando Schiavo. Prefazione del volume Maresciallo, il suo caffè. Sette storie di Demenza “Straordinaria”. La cura della relazione. La relazione che cura.. Annapaola Prestia. Edizioni Publiedit 2021.
- Diego De Leo e Marco Trabucchi: La solitudine dell’anziano. Un impegno forte per l’AIP. Psicogeriatria 1, gennaio-aprile 2018.
- John Cacioppo e William Patrick. Solitudine. L’essere umano e il bisogno dell’altro. Il Saggiatore 2013.