Docente di Storia Sociale alla Facoltà di Sociologia dell’Università degli Studi di Trento
Trento, 10 gennaio 2015
Perdonatemi questa predica di virtù, perché nella rilassatezza di questi tempi bolsi la virtù stessa deve chiedere perdono al vizio, sì, deve inchinarsi a strisciare (Shakespeare, Amleto 3,4).
Parlare di fragilità è una moda virtuosa che qualcuno con ironica espressione ha definito “spiritualità cosmetica”, così da consentire di parlare con leggerezza estetica dei fatti morali. A volte, però, le mode possono stimolare lo sviluppo di elaborazioni teoriche o azioni concrete, come per l’appunto il dibattito prodotto da Expo 2015 sull’alimentazione, che ha già trovato fertile ambito nel Salone Internazionale della Ricerca, Innovazione e Sicurezza Alimentare della Società Umanitaria di Milano, presieduto dall’ingegner Andrea Mascaretti brillante relatore al recente convegno sull’ Alimentazione identitaria per la valorizzazione del territorio trentino.
In tale cornice di eccellenza sono stati raccolti e sviluppati spunti per riflettere sull’alimentazione dei fragili, in particolare di quelli che appartengono all’età anziana: prodotti dalla marea montante della dinamica demografica italiana. Il papy boom in atto da decenni non si può più ignorare, anche perché per paradosso dimostra l’arretratezza culturale sulla vecchiaia della società contemporanea.
L’espressione “fragilità nutrizionale” ha un significato molto più ampio di quello strettamente medico, essa esprime un disagio in senso allargato, che sta a indicare la connessione tra il bisogno sanitario obiettivo e un aspetto esistenziale qual è la fragilità dell’anziano: soggetto vulnerabile per età, sovente solo e affidato alle cure di estranei. Gli aspetti nutrizionali nel processo di invecchiamento, inteso come trasformazioni fisiologiche associate all’aumento degli anni di vita e in relazione alle influenze genetiche, ambientali, socio-culturali e psicologiche, oggi rappresenta un’urgenza che la contemporaneità non può più permettersi di ignorare; la progressiva incidenza della fragilità determinata dall’invecchiamento della popolazione è solitamente espressa attraverso le cifre della statistica demografica -che qui volutamente tralascio-, con un andamento esponenziale capace di attrarre la nostra attenzione come fenomeno emergente prodotto da una società che allunga costantemente la sua “speranza di vita”. Ma la “qualità di vita” degli anziani fragili com’è?
Gestire umanamente la loro esistenza in molti casi è difficile, gli stessi professionisti della salute faticano ad affrontarla, perché fragilità e complessità sono la norma non l’eccezione; in questa fase della vita, frequentemente, l’abbondanza terapeutica che accompagna i decenni finali dell’anziano -o dell’adulto fragile- è un’arma a doppio taglio. E come con tutte le armi i più deboli ne sono le prime vittime, in questo caso lo sono gli anziani. Il neurologo Ferdinando Schiavo nel suo recente Malati per forza (Maggioli 2014) – e mai titolo fu più appropriato – porta numerosi esempi per farci comprendere come la iatrogenesi (uno dei mali oscuri della medicina) e più in generale la “mala medicina” nei pazienti geriatrici possano essere contrastate ed estirpate; ma non è una banale lotta “contro i farmaci”, bensì un richiamo al loro uso secondo scienza e coscienza, accompagnato dalla giusta informazione sui circoli viziosi scatenati dall’uso improprio dei medicinali: peccato, però, che le reazioni per le conseguenze evitabili suscitino più stupore che giusta indignazione. E sorvolo su chi potrebbe avere interesse a perseverare nella “mala terapia”.Salute e alimentazione si intrecciano anche per gli anziani fragili, come insegna la nutraceutica, ma servono piani economici e finanziamenti per sviluppare la ricerca di questo settore strategico.
La ricarica dei 102 è un gruppo di accademici coordinati dal biochimico prof. Leonardo De Angelis, che valorizzando con apertura mentale e vivacità culturale i rapporti sociali quale antidoto a largo spettro per vivere meglio l'”ultima età”, si occupa di Ricerca sulla Fragilità Nutrizionale dell’Anziano nell’ambito di Knowledge Interchange Communities ed è capofila di Well being and active ageing; questa attività di alto profilo scientifico mira a correggere i comportamenti alimentari -e non solo- quando la protezione sociale per la vulnerabile fascia anziana è inadeguata. Tale non virtuosa situazione -per nulla rara- somma alle conseguenze della “mala medicina” la “mala alimentazione”, con un effetto quanto mai nefasto nei vecchi fragili; sullo sfondo di un sapere medico distratto dalla frammentazione in specializzazioni che sovente non comunicano tra loro, manca quindi il fondamentale approccio olistico al quadro clinico e umano di queste persone, imprescindibile per la corretta conoscenza sull’avanzare dell’età e sul coerente stile di vita, anche alimentare. Un criterio risolutivo al problema non può comunque prescindere nemmeno da analisi che interessano il sociale, le economie pubbliche e del cittadino per ovviare alla “mala politica della mala assistenza ai fragili”.
Il cibo, però, non è solo nutrizione -e convenience nelle istituzioni- bensì è anche sensorialità, esteticità, eticità: come bene ha sottolineato la presidente dei Tecnologi Alimentari di Lombardia e Liguria dr. Amina Ciampella nella bella relazione presentata a Trento su Aspetti materiali e immateriali della qualità del cibo .
Le complicanze dell’età avanzata dovute alla comparsa di malattie invalidanti, con deficit cognitivi o patologie che complicano l’esistenza e sovente sfociano nel “fine vita”, provocano anche tristezza, solitudine e il senso di abbandono -che molti anziani vivono soprattutto dopo il ricovero-, costituendo riconosciute cause invalidanti e disabilitanti: problematiche che quando interessavano i bambini abbandonati nei brefotrofi erano ascritte all'”anaffettività”, categoria sconosciuta nelle rsa. Forse i vecchi hanno perduto la capacità affettiva? L’emarginazione sociale, la sofferenza, l’istituzionalizzazione, la morte di moltissimi anziani e meno anziani socialmente fragili, induce a interrogarci sull’insufficiente distorta assistenza che diamo loro.
Una competente riflessione sull’argomento è data dal documentato studio del geriatra Roberto Gramiccia intitolato La strage degli innocenti (Materiali Ediesse 2013), il cui esplicito significato è rafforzato dal brutale sottotitolo Terza età: anatomia di un omicidio sociale, collegato alla “eutanasia sociale” in passato espressamente attribuita alle istituzioni totali -di cui le rsa sono eredi-; a sostegno di queste tesi il libro vanta una prefazione che non necessita di commenti, perché scritta da una delle più illustri personalità del Novecento italiano: Margherita Hack.
Il nutrizionista prof. Alfredo Vanotti (Dipartimento di Scienze della Salute UNIMIB e LUDES-Lugano) è autore di numerose ricerche sulla fragilità nutrizionale e recentemente ha sviluppato il progetto di educazione alimentare Intervento multidisciplinare per il controllo della fragilità nutrizionale nella Regione Lombardia, misurata attraverso il Malnutrition Universal Screening Tool. Uno degli scopi più innovativi ed efficaci della sua azione è l’informazione e la formazione per il “fragile” iniziando dal soggetto stesso, per poi procedere con i familiari e tutti quelli che hanno responsabilità professionale di cura nei suoi confronti -in qualsiasi ruolo operino-, perseguendo attività frontale e trasversale onde creare una rete di competenze attive. Né il Nostro tralascia di ricordare che prevenire è meglio di curare, spiegando storie di fragilità evitabili con la corretta alimentazione per concorrere a rompere il clima di sconfortante rassegnazione che connota il tema anziani e fragilità alimentare, perché siamo assuefatti a una mediocrità contagiosa e deprimente, che consideriamo normale e inevitabile: perché pretendiamo poco dalla realtà e siamo incapaci di indignarci.