Titolo iniziale: Uno sguardo in più sull’anziano fragile in casa di riposo e in diurno
Titolo finale: La strage delle innocenti
Le patologie neurogeriatriche sono in costante aumento in conseguenza all’invecchiamento progressivo della popolazione ed al riconoscimento del ruolo dello specialista neurologo, per tanti decenni confuso con altre figure professionali.
La classe medica conosce la neurogerontologia? I medici e le altre figure professionali che collaborano a livello sanitario e sociale nell’ambito della salute hanno una preparazione adeguata per gestire una società che invecchia? Sono in grado di proporre una medicina attenta alla complessità dettata dall’invecchiamento e, in conseguenza di ciò, dalla fragilità, dalla cronicità e dall’impiego elevato e non sempre appropriato dei farmaci?
Sono alcune delle domande che mi sono rivolto prima di proporre e poi intraprendere il Progetto SA, svolto e portato a termine tra il 2013 ed il 2014. La lettura di alcune considerazioni di Marco Trabucchi, presidente e tra i principali promotori dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria (AIP), è stata come sempre stimolante.
Nella prima parte di questa pagina viene pubblicato un breve riassunto sui dati del progetto e, successivamente, tutto il lavoro completo
Abstract
Il Progetto SA ha messo in luce diversi atteggiamenti operativi su cui è possibile agire in futuro con un cambio di rotta:
- ha confermato dati noti sull’età media nelle due diverse realtà, la quantità di farmaci crescente con l’aumento dell’età e l’attesa preponderanza del genere femminile in particolare nella RA, con un totale tra RA e Diurno, di 34 donne su 45 partecipanti
- ha confermato anche la sottovalutazione della diagnosi nella sfera cognitiva (MCI o demenza): 27 persone su 45 non erano state affatto studiate sotto il profilo cognitivo; di queste 22 su 26 nella RA. Tutti e 45 i partecipanti avevano disturbi cognitivi di vario grado tra il lieve ed il moderato, secondo la valutazione con il test MMSE
E’ un dato di fatto, ben conosciuto da anni, che le persone ospitate in RA presentano demenza o MCI molto più frequentemente che la popolazione generale: i dati sono variabili in vari studi fino ad ora pubblicati ed eseguiti peraltro in realtà mondiali diverse: una cifra ragionevole indica la presenza di demenza in circa il 75% dei degenti in RA, di cui la metà riceve una diagnosi (24).
Anche gli specialisti in neurologia coinvolti nel percorso clinico del Progetto SA non sempre hanno eseguito la valutazione cognitiva, in 3 casi.
Inoltre, in tema di terapia farmacologica delle demenze, se da una parte esistono delle differenze di comportamento terapeutico tra neurologi, inclusa la continuazione di terapie con I-ChE o memantina pur in assenza di una risposta positiva (pazienti no-responder), dall’altra sono evidenti le difficoltà di ordine “burocratico” e la carenza di sensibilità per provare a somministrarle.
- sintomi clinici di parkinsonismo, come lentezza del movimento, rigidità, inespressività, curvatura in avanti del busto, a volte tremori, sono abbastanza frequenti nella popolazione anziana e nei residenti in RA. Diversi studi hanno confermato la presenza di manifestazioni di tipo parkinsoniano tra il 5 e il 10 % dei residenti in RA, ma anche la sottostima e la mancata diagnosi del fenomeno
Tra i degenti partecipanti 12\45 presentavano una sintomatologia di tipo parkinsoniano di grado lieve-moderato non in relazione ad una “vera” MP. Negli altri 2 casi sul totale di 45, 1 paziente era affetto da Degenerazione cortico-basale (DCB), un parkinsonismo degenerativo che non risponde ai farmaci usualmente impiegati nella MP: la supervisione ha potuto impedire l’uso di tentativi terapeutici non idonei a più riprese proposti dai familiari tramite “consigli ricevuti”; 1 paziente diagnosticato come MP non otteneva risposte adeguate dall’uso della L-DOPA: probabile parkinsonismo “vascolare”? È stata indicata una riduzione dei farmaci fino alla sospensione.
Sono stati individuati 6 casi su 12 di parkinsonismo provocato o favorito da antipsicotici tradizionali (di cui 4 da aloperidolo, in genere il più usato), in un caso era coinvolto un antipsicotico atipico di largo uso, la quetiapina (Seroquel).
Associata al parkinsonismo da farmaci era presente acatisia in 2 casi (1 aloperidolo e 1 quetiapina). L’acatisia consiste in un’attività motoria incessante, a volte si manifesta solamente come “un nervosismo interno”, con una logorrea; anche per tali motivi è spesso confusa con la comune ansia agitata, per cui può accadere che venga trattata… con l’aumento dei farmaci incriminati. Pur se apprezzato in un solo caso del Progetto SA, appare confermato che anche gli antipsicotici atipici possono generare (slatentizzare, favorire) sia un parkinsonismo che l’acatisia.
- due casi di atassia (disturbo dell’equilibrio, marcia da ubriaco…) erano imputabili a farmaci, sospesi su indicazione proveniente dal Progetto SA: pregabalin (Lyrica) e carbamazepina (Tegretol)
- la sottovalutazione della diagnosi di delirium è stata confermata: nei 6 casi riscontrati 5 non erano stati diagnosticati. Tra l’altro il delirium è una valida spia di fragilità e di associazione- sovrapposizione con demenza
- sono stati individuati EA in rapporto ad alcune malattie internistiche che con la neurologia hanno una indubbia relazione:
– tra gli 8 diabetici non insulinodipendenti è stata verificata la presenza di 4 pazienti con ripetuti riscontri di ipoglicemia, alcuni sintomatici: sono stati sollecitati i cambiamenti terapeutici del caso. L’analisi dei dati OsMed relativi ai primi nove mesi del 2014, resi noti in gennaio 2015, ci consente di riscontrare ancora importanti sacche di inappropriatezza nell’uso dei farmaci per il trattamento dell’ulcera e dell’esofagite, ma anche nell’uso degli antidiabetici
– in 5 su 6 dei pazienti a cui erano stati consigliati ipotensivi della classe dei calcio-antagonisti si sono verificati edemi alle caviglie, in 2 casi funzionalmente disturbanti: è stata consigliata la sostituzione con altre classi di ipotensivi
– è stato riscontrata ipotensione arteriosa moderata, stabilmente o solamente in ortostatismo, in 12 dei 28 che assumevano terapia ipotensiva.
In un caso la segnalazione di una netta differenza pressoria tra i due lati delle braccia non ha ricevuto alcuna collaborazione
– diagnosticato un caso di anemia seria, verosimilmente provocato da ASA (aspirina), che ha richiesto urgenti trasfusioni di sangue.
Progetto completo
Introduzione
Le patologie neurogeriatriche sono in costante aumento in conseguenza all’invecchiamento progressivo della popolazione ed al riconoscimento del ruolo dello specialista neurologo, per tanti decenni confuso con altre figure professionali.
La classe medica conosce la neurogerontologia? I medici e le altre figure professionali che collaborano a livello sanitario e sociale nell’ambito della salute hanno una preparazione adeguata per gestire una società che invecchia? Sono in grado di proporre una medicina attenta alla complessità dettata dall’invecchiamento e, in conseguenza di ciò, dalla fragilità, dalla cronicità e dall’impiego elevato e non sempre appropriato dei farmaci?
Sono alcune delle domande che mi sono rivolto prima di proporre e poi intraprendere il Progetto SA, svolto e portato a termine tra il 2013 ed il 2014. La lettura di alcune considerazioni di Marco Trabucchi, presidente e tra i principali promotori dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria (AIP), è stata come sempre stimolante.
Una considerazione è contenuta nella newsletter agli iscritti del giugno 2012: Giungono da più parti i segni dei danni che colpiranno le persone anziane non autosufficienti in conseguenza della crisi economica e della riduzione dei finanziamenti al sistema sanitario e dei servi sociali. In questi momenti è particolarmente importante che nessuno di noi si scoraggi, ma che, anzi, provi a identificare percorsi di cura a basso costo che portino ugualmente a buoni risultati. Il medico e chi opera nella società e nella sanità, ovvero chi si occupa di salute per i fragili, hanno la cultura e l’esperienza per collaborare ed aiutare anche gli altri componenti delle équipe a capire come evolvono le diverse situazioni; è necessario dare l’esempio di impegno e di inventiva.
L’altra riflessione di Trabucchi riguarda i miglioramenti che coloro che operano nella salute possono apportare attraverso una maggiore attenzione nelle “piccole cose” del mondo dell’anziano. è pubblicata su Psicogeriatria: Questa medicina “auspicata” avrebbe il compito di tener conto, seppur con le difficoltà legata alla polipatologia e alla politerapia, di un parametro obiettivo e realistico come la spettanza di vita, ma anche della possibilità di regalare agli ultimi anni delle persone fragili dei piccoli guadagni, gli small gains, in grado tuttavia di determinare spesso risultati clinici sorprendenti, con un forte rilievo soggettivo positivo in chi soffre da lunga data (1)
Con l’invecchiamento della popolazione a livello planetario, e in modo particolare in Italia, e con i cambiamenti della struttura della società ed anche dell’assetto della famiglia, che è ritenuta peraltro l’ammortizzatore sociale più importante, si sta assistendo ad un aumento della domanda di sostegno delle persone anziane negli ambulatori, negli ospedali, ed infine nei diurni e nelle residenze per anziani (RA), quando non è più possibile al proprio domicilio. Il livello delle cure che quotidianamente vengono fornite nelle RA sta diventando sempre più complesso. Anche per tale motivo questo tipo di popolazione fragile richiede sensibilità, conoscenza ed esperienza gerontologica ed una metodologia di lavoro professionale attenta ad evitare il più possibile le prevedibili complicazioni, tra cui le cadute (2) e gli inevitabili ricoveri ospedalieri (3) che peraltro sono legati spesso a “malattie da farmaci” (EA: Eventi Avversi).
Potentially inappropriate medications (PIMs) continue to be prescribed and used as first-line treatment for the most vulnerable of older adults, despite evidence of poor outcomes from the use of PIMs in older adults. PIMs now form an integral part of policy and practice and are incorporated into several quality measures [Farmaci potenzialmente inappropriati (PIM) continuano a venire prescritti e usati come primo trattamento per i più vulnerabili tra gli adulti anziani, nonostante l’evidenza di scarsi risultati dall’uso di tali sostanze in tali soggetti. Le PIM costituiscono ora parte integrante delle politiche e delle pratiche mediche e sono incorporate in diverse misure sulla qualità]. Inizia così l’articolo pubblicato nel 2012 da Christine M. Campanelli sul tema dell’appropriatezza nella terapia farmacologica nelle persone vulnerabili secondo i criteri di Beers (4).
Chi era Beers? Mark Howard Beers, geriatra americano, deceduto nel 2009 a soli 55 anni per le complicanze di una grave forma di diabete giovanile, tra cui l’amputazione di ambedue gli arti inferiori, è internazionalmente noto per avere segnalato sin dal 1991 i potenziali effetti avversi di molti farmaci di largo uso negli individui anziani, quando pubblicò (5) insieme ai collaboratori i criteri espliciti per determinare l’uso appropriato di farmaci nelle RA, ampliandoli necessariamente nel 1997 a tutta la popolazione anziana (6).
Dalla prefazione di Orazio Zanetti a Malati per forza: I farmaci sono armi a doppio taglio e gli anziani ne sono spesso le vittime. È ampiamente noto che la popolazione anziana è particolarmente esposta alla iatrogenesi ed in particolare alle reazioni avverse da farmaci; il rischio iatrogeno aumenta quanto maggiore è il numero di farmaci assunto. Uno studio americano ha evidenziato come il 40% delle persone con oltre 65 anni assuma da 5 a 9 farmaci e il 18% arriva fino a 10. Questo spiega in larga parte il rischio elevato di ospedalizzazione da eventi avversi che caratterizza la popolazione anziana (7).
Sottolinea il geriatra Giuseppe Paolisso, Rettore della Seconda Università di Napoli, in una nota ANSA del 30 gennaio 2015: In Italia, come in quasi tutto il resto del mondo industrializzato vi è un eccesso di farmaci prescritti all’anziano: questo dato ha sia ricadute in termini di costo sanitario, sia di possibili rischi di abuso di farmaci, ovvero di un uso di farmaci non necessari o comunque con un pessimo rapporto rischi/benefici. In vari paesi vi sono strumenti ad uso del medico per aiutare l’anziano a dimenarsi in questo potpourri di farmaci, ad esempio la guida STOPP, Screening Tool for Older Person’s Prescriptions, una lista di farmaci potenzialmente pericolosi che pone l’enfasi sulle interazioni tra molecole e sulle prescrizioni cosiddette duplicate di farmaci tra loro simili che spesso un anziano riceve rivolgendosi a diversi specialisti in tempi diversi… Particolarmente a rischio di polifarmacoterapia è l’anziano che si rivolga nel tempo a una serie di specialisti (cardiologo gastroenterologo, neurologo etc), ciascuno dei quali fa prescrizioni a volte ridondanti andando a sovrapporsi a precedenti prescrizioni di altri medici.
Continua il collega: In Italia mancano linee guida specifiche dedicate all’anziano anche se per ciascun farmaco c vi sono avvisi relativi a eventuale pericolosità per l’anziano. Linee guida dedicate avrebbero due chiari vantaggi: da una parte ridurre le prescrizioni e abbassare i costi per il SSN; dall’altra prevenire interazioni tra farmaci, e il rischio di complicanze per il paziente. Le due grandi categorie di farmaci su cui c’è eccesso di prescrizione nell’anziano sono gli ansiolitici (inopportunamente prescritti per favorire l’addormentamento) che abbassano il tono dell’umore e riducono le capacità di reazione a stimoli esterni con vari rischi per l’anziano nelle sue attività quotidiane (ad esempio alla guida); gli antipertensivi, che, non sempre dati in modo appropriato, possono creare grossi problemi specie quando l’anziano passa da posizione distesa a in piedi con vertigini anche di lunga durata e rischio cadute.
Numerosissimi lavori scientifici, solo parzialmente elencati nella bibliografia di questo scritto, hanno sostenuto da decenni e continuano a sostenere, con la forza e la potenza di dati reali, la necessità di un uso appropriato dei farmaci soprattutto negli anziani, al fine di evitare gli EA (8-15).
In Italia, la nascita di Slow medicine ha rispecchiato questa rivoluzione del paziente e del cittadino. Il suo manifesto parla di una cura sobria, rispettosa e giusta in analogia al cibo buono, pulito e giusto di Slow food. L’ingresso di pazienti e di cittadini ha rappresentato una svolta significativa nella vita del movimento: accanto alla visione delle malattie strettamente medica sono apparse nuove e rilevanti le esperienze dei pazienti che queste malattie le vivono in prima persona. D’altra parte l’ottica della percezione dei servizi sanitari, dal punto di vista dei pazienti, si è dimostrata spesso molto diversa da quella che ne hanno i professionisti, svelandone ad esempio una frequente e pericolosa frammentazione. Anche il progetto Fare di più non significa fare meglio, che Slow medicine ha lanciato riprendendo quello in atto negli Stati Uniti con il nome di Choosing wisely (www.choosingwisely.org), potrà rappresentare un ulteriore passo verso una partecipazione fra mondo sanitario, pazienti e cittadini. Il progetto si prefigge di ridurre le pratiche mediche ad alto rischio di inappropriatezza e di condividerle con i pazienti e i cittadini, in un’ottica che coniuga sobrietà ed efficacia. Sobrietà non significa austerità acritica ma scelta di evitare lo spreco.
Molti sintomi o segni che si incontrano nella medicina di base e in neurologia possono essere indotti da vari farmaci e a volte, associandosi fra di loro, in modo peculiare nell’anziano, danno luogo a manifestazioni di interesse neurologico di vario tipo che molto spesso “assomigliano” ad alcuni importanti e noti quadri clinici, come la malattia di Parkinson (MP), le demenze, l’epilessia, altre volte concorrono a determinare cefalea, perdite di coscienza, vertigini, disturbi dell’equilibrio o delle capacità visive, deficit di forza, cadute, anemia, depressione, apatia ed episodi confusionali.
Il neurologo con esperienza geriatrica ha, quindi, una certa familiarità col fenomeno EA da farmaci, con aspetti neurologici e non. Possiede una visione del problema che si potrebbe definire, con una venatura di amarezza, privilegiata, sia nella veste di chi li osserva e li diagnostica come esperto delle manifestazioni del suo ramo specialistico, sia come prescrittore egli stesso di farmaci a rischio.
Nello svolgimento del lavoro quotidiano di un medico in alcuni casi l’azzardo terapeutico è calcolato, paziente e familiari sono adeguatamente informati su possibili EA o sui fenomeni di intolleranza. Qualche volta invece il pericolo viene invece sottovalutato (oppure non è noto) in quanto i componenti della classe medica, compresi gli specialisti, possono non dimostrare una piena attenzione e competenza nel consigliare certi farmaci pur in presenza di seri fattori di rischio di sviluppo di EA, quali sono la stessa età anagrafica dei pazienti, il genere (le donne ne sono più soggette degli uomini… e nella tarda età sono in maggioranza) e la presenza di alcune malattie o sintomi e segni clinici, elementi preesistenti che dovrebbero indurli ad una maggiore cautela. Un esempio neurologico: un paziente con parkinsonismo o una malattia di Parkinson non deve assumere alcune categorie di farmaci che possono accentuare i disturbi motori. L’elenco può essere preso in visione nel manuale sulle demenze dell’Associazione Alzheimer di Udine edito nel 2011, da me curato insieme ad altri professionisti non medici.
Partendo da questi presupposti e ritenendo che fosse giunto il tempo di agire con l’impegno piuttosto che far finta di non vedere o subire il problema dell’adeguatezza delle cure per gli anziani fragili, ho proposto questo Progetto di supervisione di anziani ospiti in strutture e, d’accordo con gli altri membri dell’associazione Alzheimer di Udine, ho posto il tema delle demenze come compito primario della ricerca.
Le demenze tra le malattie di rilievo, adesso e progressivamente nell’immediato futuro, rappresentano una reale emergenza per la sanità e per la società (famiglia compresa) e, tuttavia, sono malattie ampiamente sottovalutate e soggette a malpratica medica. Stesso destino subiscono, peraltro, altre patologie neurogeriatriche frequenti negli anziani, spesso in comorbilità con le demenze e che con le demenze hanno un rapporto inequivocabile come fattori di rischio e come elementi confondenti: il delirium, i parkinsonismi, i disturbi di equilibrio, le cadute, le perdite di coscienza, le vasculopatie cerebrali e le cardiopatie con i relativi fattori di rischio vascolare, la depressione, l’apatia, e infine i frequenti EA da farmaci.
La finalità del Progetto SA, rivolta a stimolare una collaborazione con i vari professionisti della struttura residenziale, compresi i medici di medicina generale (MMG) esterni e gli stessi familiari ha avuto l’obiettivo di:
- verificare l’esistenza di punti critici, tra cui l’accuratezza della corretta valutazione dello stato generale e neurologico dei pazienti, in particolare col rilevamento dei quadri di alterazione cognitiva e di quelli secondari all’uso inappropriato dei farmaci
- segnalarli e proporre suggerimenti e soluzioni ai medici, al personale infermieristico ed ai familiari, invitando sia i professionisti della salute che i familiari a collaborare nel migliorare la qualità dell’approccio alle patologie dell’anziano fragile o malato e la loro gestione clinica, al fine di ridurre stress e disagio del paziente stesso, dei familiari e degli operatori della struttura
Materiali e metodi. Analisi dei risultati
Nelle due strutture contattate e interessate al Progetto SA, una RA localizzata a circa 20 km da Udine ed un Diurno di Udine sono stati effettuati due incontri preliminari informativi con i familiari (e i degenti, quando è stato ritenuto possibile). Successivamente, sono stati selezionati i pazienti i cui familiari avevano fornito il consenso informato. Hanno aderito e sono stati esaminati 45 soggetti nel corso del 2013, attraverso una prima valutazione e, nei casi in cui è stata ritenuta necessaria, 42\45, una rivalutazione in presenza di un familiare.
Il modello di esame di ogni singolo soggetto è consistito nella raccolta della storia clinica nella maniera più accurata possibile (compatibilmente con la collaborazione fornita dalla persona, dai familiari, dal personale e dalla documentazione clinica), una valutazione generale, neurologica e cognitiva con MMSE.
Sono stati presi in esame otto campi di indagine.
- Età media
RA: 89,8
Diurno: 82,9
- Numero di farmaci per persona, in media
RA: in media stabilmente 6,5 farmaci a testa + circa 1,5 farmaci a testa in uso saltuario, al bisogno.
Diurno: in media stabilmente 4,1 farmaci a testa + circa 0,5 farmaci a testa in uso saltuario, al bisogno.
- Genere. I pazienti della RA erano 26 con un rapporto di genere assolutamente a vantaggio di quello femminile (23\3), i rimanenti 19 frequentavano il Diurno (donne\uomini: 11\8), con un totale del rapporto donne\uomini di 34\11. Ovvero, più di 3\4 del campione era composto da donne.
Brevi considerazioni sui primi 3 punti
Sono emerse differenze su età media dei partecipanti e, di conseguenza, sul consumo dei farmaci: esse rappresentano un dato atteso in quanto le due strutture hanno modelli e compiti diversi nell’accudire gli anziani ospiti.
Genere: la speranza di vita (SV) in cento anni, dalla fine del ‘900 ai giorni nostri, ha mostrato un incremento inatteso decenni fa; le medie si sono progressivamente elevate fino agli attuali 80,2 anni per gli uomini e 84,9 per le donne.
Motivo di gioia per le donne? Non sempre. Nel sesso femminile, infatti, il tasso di anni di vita sana (AVS) è alquanto ridotto rispetto agli uomini: AVS donne 62,5; uomini: 63,4.
Ovvero: le donne invecchiano “peggio” e per un numero di anni maggiore rispetto agli uomini.
E’ uno dei tanti aspetti della Medicina di genere, l’avamposto dell’auspicata medicina personalizzata del futuro. Genere è un termine più ampio che sesso. Il genere rappresenta quell’insieme di differenze sessuali, certo, ma anche genetiche, comportamentali, culturali e sociali, che strutturano l’identità di ciascun individuo, influendo biologicamente sul modo in cui una malattia si sviluppa, viene diagnosticata e curata. Per chiarezza, la Medicina di genere non vuole affrontare lo studio delle malattie che colpiscono prevalentemente gli uomini o le donne, ma quello delle patologie che, pur colpendo entrambi i generi, hanno storia clinica diversa e richiedono una risposta medica e organizzativa diversa.
In questo scenario, riassumendo, la maggiore sopravvivenza delle donne le espone, rispetto ai maschi:
- ad un tasso di fragilità superiore ai cinque “anni guadagnati”
- ad un maggiore consumo di farmaci
- … a cui rispondono in maniera differente
- … e che provocano peraltro EA in maggior misura.
- Demenza o Mild Cognitive Impairment (MCI)[1]: 45\45 di cui 4 MCI multiple domain.
- RA: MCI o demenze NON riconosciute 22\26 (3 MCI);
- Diurno: MCI o demenze NON riconosciute 5\19 (1 MCI)
- Totale MCI o demenze NON riconosciute: 27\45
Tre casi di demenza non riconosciuta (e non esaminata adeguatamente) persino da neurologi: 2 i casi dallo stesso neurologo nei mesi precedenti, ambedue fra i pazienti del Diurno; 1 paziente della RA con demenza non riconosciuta e non sottoposta a test cognitivi da altro collega.
[1] MCI: il deterioramento cognitivo lieve può coinvolgere isolatamente la memoria o varie abilità cognitive. Questa diagnosi si applica agli individui che hanno deficit cognitivi lieve, ma di grado superiore a quanto atteso in considerazione della loro età ed istruzione, i quali non interferiscono significativamente con le loro attività giornaliere. Lo si considera come la frontiera o stato di transizione, discutibile, tra l’invecchiamento normale e la demenza.
Brevi considerazioni sui disturbi cognitivo-comportamentali
A. 27\45 pazienti non riconosciuti come affetti da alterazioni cognitive, di cui 4 MCI
Il dato del misconoscimento e della sottovalutazione del fenomeno “demenze” è noto da tempo. Il fenomeno demenze dovrebbe essere valutato con una certa priorità a livello sociale prima che politico: così scrivono Dartigues e colleghi nel loro lavoro sulla Revue Neurol nel “lontano” 2002 (16), agli albori del risveglio mondiale di interesse verso questo campo della medicina, aggiungendo che le demenze sono caratterizzate da:
- frequenza elevata e tendenza all’aumento progressivo
- conseguenze gravi per il malato e per gli altri
- ineguaglianza di accesso alla diagnosi e alle cure; esistono diversità di vedute nella diagnosi e nella cura delle demenze in diversi contesti clinici. Anche la vicinanza di strutture adeguate non evita la sottovalutazione delle demenze
- costi elevati
Ed inoltre sono:
- a livello diagnostico, malattie ignorate, misconosciute, sottostimate
- malattie su cui si può agire in qualche modo con l’azione diagnostica, terapeutica e preventiva. A livello farmacologico, sono soggette a malpratica per somministrazione di terapia non idonea e conseguenti EA, tra cui parkinsonismo ed altre manifestazioni extra-piramidali, sincopi, delirium, cadute e relative conseguenze. La malpratica può verificarsi anche attraverso l’omissione di una diagnosi e di una terapia farmacologica, ma anche di una strategia non farmacologica idonea: riguardo a quest’ultima modalità, le demenze risentono della mancata informazione fornita ai familiari o al personale di assistenza, alla luce della netta rilevanza e insostituibilità delle strategie di cura non farmacologiche
A livello terapeutico, i farmaci attualmente in uso agiscono purtroppo non a monte della cascata di eventi patologici che determinano il danno del neurone, ma a valle, ovvero non sulla causa bensì sui sintomi. Da circa 15 anni si sta provando ad alleviare il corso di alcune demenze, quella di Alzheimer e altre forme cliniche (demenza a corpi di Lewy e malattia di Parkinson evoluta in demenza) attraverso gli inibitori delle colinesterasi (I-ChE), farmaci che in sostanza incrementano la quantità di un mediatore chimico (il “carburante”), l’acetilcolina, essenziale per i circuiti neuronali della memoria e delle altre funzioni cognitive e di alcuni sintomi comportamentali.
Sono 3 sostanze con 5 nomi commerciali: Donepezil (Aricept, Lizidra, Memac), Rivastigmina (Exelon e Prometax), Galantamina (Reminyl). Questi farmaci non sempre possono essere prescritti (NO in caso di gastropatia, alcune cardiopatie, malattie respiratorie); non sempre vengono tollerati (nausea, vomito, mal di stomaco, diarrea, sincopi per riduzione della pressione arteriosa o della frequenza cardiaca, irritabilità); non sempre producono effetti positivi (pazienti no-responder: almeno un terzo dei pazienti). Tuttavia, in circa il 25-30% dei casi gli I-ChE generano miglioramenti evidenti di pochi o molti aspetti del quadro clinico e li mantengono per mesi o anni: sono i pazienti responder, che migliorano le capacità di partecipazione alle attività dell’ambiente circostante, l’attenzione, la memoria, lo stesso comportamento (l’apatia, a volte le allucinazioni), il sonno, ecc. In un altro terzo dei casi il miglioramento appare meno visibile. Se si prova a sospenderli, però, può notarsi, o meno, un peggioramento: la prova della sospensione paradossalmente rimane il miglior sistema pratico per apprezzare se questa categoria di farmaci “funziona in qualche modo” o per nulla. Un’altra molecola che agisce sui quadri di demenza alzheimeriana e su altre forme cliniche precedentemente elencate, ma nella fase avanzata, attraverso altri sistemi chimici e funzionali, è la Memantina (Ebixa). Anche in questo caso i risultati sono variabili da individuo a individuo
- infine, malattie nelle quali, infine, la mancata diagnosi può determinare, fra l’altro, assenza di tutele amministrative e medico-legali
E si continua a incitare, inascoltati, alla priorità nel campo delle demenze, ancora nel 2012 (17).
La sensibilità allo scenario dominato dalle demenze che si sta ampliando giorno dopo giorno e la stessa professionalità sanitaria sono molto variabili tra le diverse figure mediche o tra una struttura pubblica ed un’altra, realtà che è emersa anche dal Progetto SA riguardo alla diagnosi ed alla scelta della terapia farmacologica delle demenze.
B. Terapia nei casi di demenza
– Pazienti già riconosciuti come affetti da demenza
- 3 pazienti esaminati probabilmente NO-responder a I-ChE e 1 alla memantina;
- gli I-ChE sono stati consigliati in presenza, in un caso, di una presincope e di bradicardia, e, nell’altro, di un pregresso scompenso cardiaco e broncopatia ostruttiva.
Sono nate delle perplessità dalle domande che sono state poste ai familiari di 6 pazienti in terapia con I-ChE e 1 con memantina: “quando ha iniziato gli I-ChE o la memantina, ha risposto, ovvero è migliorato\a?” “Perché continuare se erano o sono diventati no-responder?”
– Fra i pazienti riconosciuti nel corso dello svolgimento del Progetto come affetti da demenza (in prevalenza verosimili demenze di Alzheimer) in nessun caso è stato possibile provare a introdurre una terapia con I-Che o memantina per scarsa collaborazione familiare e\o del MMG, dettate anche dalle difficoltà note di tipo “burocratico” (necessità di avere campioni dei farmaci per iniziare e valutare almeno la tollerabilità e una risposta di miglioramento, di una visita in ambulatorio UVA e della prescrizione con piano terapeutico, ecc.).
In conclusione, a livello terapeutico i farmaci che potrebbero migliorare alcuni aspetti cognitivi o comportamentali, inibitori delle colinesterasi (I-ChE) e memantina, o non vengono proposti del tutto per le ragioni incomprensibili dell’ageismo (tanto è vecchio…), del nichilismo (non c’è niente da fare…), del fatalismo o della rassegnazione. Oppure vengono forniti gratuitamente con un piano terapeutico nazionale, anche per anni, proprio a pazienti che “non hanno risposto” inizialmente. è qui lo spreco di soldi e risorse varie (ambulatori, medici) per una terapia peraltro non priva di effetti avversi.
- Malattia di Parkinson e sindromi extrapiramidali in senso lato
A. Malattia di Parkinson e parkinsonismi
Totale: 14\45 (di cui una MP ad evoluzione incerta ed un parkinsonismo degenerativo tipo DCB)
In 7 casi i parkinsonismi sono stati verosimilmente indotti o favoriti da farmaci antipsicotici: 4 da aloperidolo, 1 da perfenazina, 1 da periciazina, 1 da quetiapina. Negli altri non è stata accertato con sicurezza il farmaco responsabile.
B. Acatisia
Totale: 2\45.
Un caso da aloperidolo (paz. 14 RA), l’altro da quetiapina (paz. 32 Diurno), ambedue in combinazione con parkinsonismo ipocinetico di gravità lieve-moderata.
C. Discinesie buccali
Totale: 1\45. Incerta l’implicazione di farmaci.
D. Atassia
Totale: 2\45, uno regredito dopo sospensione di pregabalin (Lyrica), l’altro della carbamazepina (Tegretol).
E. Delirium
Delirium pregressi: 6\45, di cui 5 non riconosciuti.
Brevi considerazioni sul Delirium
Il delirium è una manifestazione frequente nel mondo industrializzato ed è “più comune dell’ictus cerebrale”, ovvero della terza causa di morte nel mondo occidentale e prima causa di inabilità.
Eppure, malgrado ciò, il suo riconoscimento è raro nelle diagnosi di dimissione dai reparti ospedalieri, confermando che è un problema clinico sicuramente sottostimato, spesso misconosciuto e non adeguatamente trattato. Si tratta in breve di uno stato confusionale in cui si mescolano alterazioni dello stato di coscienza nella maggioranza dei casi reversibili, delle abilità cognitive (in particolare, attenzione, memoria, orientamento nello spazio e nel tempo, ecc.), della percezione della realtà (allucinazioni, ecc.), del comportamento psicomotorio (agitazione, a volte marcata apatia, o più spesso alternanza fra i due stati) , del ciclo sonno-veglia, ecc. in un quadro complesso spesso fluttuante, che può durare giorni o settimane.
Il delirium dipende spesso da più cause ed è una patologia:
- ad alta incidenza ospedaliera negli anziani: 10-20 % al momento del ricovero e 10-30 % durante la degenza
- più frequente ad osservarsi in reparti chirurgici (chirurgia generale, ortopedia, ecc.)
- in età avanzata: dopo i 70 anni il 25 % dei ricoverati presenta almeno un episodio di delirium
- ad alta mortalità.
Concorrono a determinarlo fattori di rischio insiti nel concetto di fragilità, cause vere e proprie e fattori precipitanti. Il rapporto fra delirium e demenze appare sempre meglio delineato, anche se purtroppo ancora non ben conosciuto fuori dalla cerchia stretta degli esperti. Infatti, il delirium negli anziani di età superiore a 75 anni si associa a demenza nel 50 % dei casi; una persona con demenza ha un rischio di delirium 2 o 3 volte maggiore e un rischio mortalità pressoché doppio. Accade di frequente che il delirium si manifesti in un soggetto con demenza sottovalutata o sub-clinica, latente, come può succedere, ad esempio, in occasione di una frattura del femore o durante un episodio febbrile e che da quel momento in poi emergano definitivamente le problematiche tipiche delle demenze, una volta superata la fase acuta; oppure che aggravi il percorso e l’evoluzione del quadro di demenza preesistente e noto.
A livello clinico possono nascere difficoltà nel riconoscere il delirium se sovrapposto a demenza o se prevale la componente “non agitata” rispetto a quella “agitata” più facile da riconoscere.
Bisogna comunque attendere l’auspicabile miglioramento del quadro imputabile al delirium per poi procedere alle valutazioni nel tempo della situazione clinica cognitiva e comportamentale residua.
F. Diabete mellito
Totale: 8\45, di cui solo uno insulinodipendente.
- Ipoglicemia in diabetici
Totale: 4\8 (3 RA e 1 Diurno), tutti non insulinodipendenti, due con ripetuti esami attestanti ipoglicemia sottovalutata
Brevi considerazioni: non si può negare l’evidenza di un controllo non efficiente, peraltro raccomandato da diverse linee guida che riguardano l’iperglicemia dell’anziano.
G. Ipertensione arteriosa
Totale: 28\45
Eventi Avversi: edemi alle caviglie da Ca-antagonisti
Totale: 5\6 facenti uso di questi farmaci (5 amlodipina e 1 felodipina), di cui 2 in modo funzionalmente evidente (4 in RA e 1 in Diurno).
Brevi considerazioni
È noto “da sempre” che i farmaci ipotensivi ad azione calcio antagonista possono provocare edemi malleolari…
Eventi Avversi: ipotensione arteriosa in ipertesi
Totale: 12\45 di cui 8 “stabile” (in clino e ortostatismo, ovvero a paziente coricato e poi in piedi per almeno 3 minuti) e 4 solamente in ortostatismo.
Alcune riflessioni sul tema, da Malati per forza (7)
Decenni di attenzione alla prevenzione dell’ipertensione arteriosa ci hanno indotto, come classe medica, a trascurare la possibilità di pensare che un danno cerebrale possa essere causato da ipotensione arteriosa (pressione arteriosa “bassa”) attraverso un meccanismo ischemico-emodinamico, e che un ridotto flusso arterioso sia in grado di danneggiare in qualche modo il cervello.
La pressione arteriosa, come tutti sanno, può essere normale, bassa o alta in modo stabile in ogni posizione del corpo, oppure può presentare una riduzione lieve e transitoria oppure importante e sostenuta al passaggio in posizione eretta, in piedi: in quest’ultimo caso si parla di ipotensione ortostatica. Il termine indica una diminuizione, rispetto ai valori riscontrati a paziente supino da almeno 5 minuti, della pressione massima (sistolica) di almeno 20 mm di mercurio o della pressione minima (diastolica) di almeno 10 mm di mercurio, che si evidenzia entro 3 minuti dall’assunzione della stazione eretta. Ovviamente, maggiore è lo scarto fra le variazioni pressorie nelle due posizioni, più evidenti potrebbero risultare i disagi del paziente, in quanto è raro che queste differenze “in meno” non provochino sintomi. Questi sintomi possono essere avvertiti dagli anziani (e non!) sia quando i valori pressori sono stabilmente bassi oppure esclusivamente quando assumono, da seduti o coricati, la posizione eretta o la mantengono a lungo.
In particolare nei soggetti anziani, bisogna sospettarne la presenza se lamentano sensazione di stanchezza, di stordimento, di capogiri o di precario equilibrio, di “testa confusa”, di apatia, fino alla “quasi perdita di coscienza” (pre-sincope) o alla perdita di coscienza di breve durata (sincope).
Per evitare allarmismi inutili, le conseguenze cerebrali da ipotensione arteriosa non riguardano in genere le persone più o meno giovani “ipotese da sempre”, magari sedentarie, a meno che nel loro quadro generale non intervengano condizioni nuove (anomalie cardiache, farmaci, anemia, ipotiroidismo, ecc.).
Non esiste un valore critico per l’ipotensione valido per tutti, in quanto è variabile da individuo a individuo per diversi fattori. Fra questi, ad esempio, diventano elementi decisivi e incisivi le stenosi o le occlusioni dei grossi vasi arteriosi cerebrali, in quanto rappresentano un ostacolo meccanico al flusso arterioso verso il cervello, un ostacolo che può essere superato da una pressione arteriosa “brillante”. Quando si consiglia una terapia ipotensiva e\o diuretica è necessario tener conto di questi ed altri elementi: alterata capacità elastica e muscolare delle arterie con mancata reattività delle arterie cerebrali ad un migliore adeguamento alle diverse situazioni vitali; presenza di anemia, di vistose varici agli arti inferiori che in ortostatismo “rubano sangue prezioso” ad altri organi, di disidratazione, di febbre e varie condizioni ancora, tra cui assunzione di psicofarmaci. Un ruolo decisivo ulteriore è svolto dalle alterazioni degenerative o vascolari che compromettono il buon funzionamento dei neuroni coinvolti nelle complesse regolazioni del sistema nervoso vegetativo (mediate dal simpatico e parasimpatico), alterazioni spesso presenti in malattie come quella di Parkinson e alcuni parkinsonismi (patologie dove, peraltro, il problema risulta di difficile soluzione). È un fenomeno, quindi, che riveste un’importanza notevole con l’avanzare progressivo dell’età, potendo essere causa di complicazioni varie, fra cui alterazioni dell’equilibrio, cadute, perdite di coscienza (sincopi) o solamente i suoi prodromi (pre-sincope).
L’ipotensione sospettata di dare sintomi (sintomatica), stabile o limitata alla posizione ortostatica, assieme alle cause che la determinano, creano o fanno progredire, inoltre, un preesistente danno cerebrale di qualsiasi natura se non viene opportunamente prevenuto ricercandola attraverso una semplice misurazione e trattandone le cause: magari solamente con la riduzione o la sospensione della terapia sospettata, la cura dell’anemia, una normale alimentazione e idratazione (guardare o toccare la lingua per valutare se è asciutta!), oppure in alcune condizioni particolari attraverso l’uso di calze elastiche di contenzione per varici.
In anziani con stenosi dei grossi o piccoli vasi arteriosi a destinazione cerebrale, quindi con un ostacolo meccanico al flusso arterioso verso il cervello, o con insufficienza della pompa cardiaca (18), queste cause appena descritte diventano più incisive per danni cerebrali “silenziosi” o meno.
Un recente lavoro di un gruppo italiano (19) ha confermato in un campione di pazienti, ancora una volta, che l’ipotensione ortostatica riduce di almeno il 20 % le prestazioni cognitive, misurate in quella postura. È un dato che dovrebbe farci riflettere, e che conferma altri lavori precedenti.
Da una parte di colleghi medici, tuttavia, risulta tenuto in poco conto il ruolo dell’ipotensione in soggetti anziani che lamentano sensazione di stanchezza, di stordimento, di capogiri o di precario equilibrio, di “testa confusa”, soprattutto quando stanno in piedi. Non tutti, ricostruendo con pazienza la storia clinica chiedono esplicitamente se il fenomeno accade a letto o da seduti oppure solo quando i pazienti stanno in piedi. In questi casi, il rilevamento di ipotensione arteriosa presente solo in ortostatismo, potrebbe giustificare i sintomi o una parte di essi, e soprattutto impedire danni cerebrali sub-clinici, quindi spesso silenti dal punto di vista sintomatologico oppure la prescrizione di farmaci “antivertiginosi”, con la conseguenza di provocare spesso un’accentuazione dell’ipotensione ortostatica e dei sintomi correlati, o addirittura un parkinsonismo da flunarizina, cinnarizina, Torecan e altri farmaci ancora.
I “danni cerebrali su base emodinamica” sono spesso silenti, cioè asintomatici, fino a quando, accumulati nel tempo, si manifesteranno insidiosamente con segni di deterioramento della funzione cerebrale diffuso, e quindi con sintomi e segni clinici a vari livelli: cognitivo (attenzione, memoria, soluzione di problemi complessi, alterazioni visuo-spaziali, ecc.), comportamentale (spesso apatia, depressione, irritabilità, ecc.) e motorio (disfagia, disequilibrio, parkinsonismo, cadute).
Nella pratica quotidiana di assistenza agli anziani non esiste, quindi, un valore critico per l’ipotensione stabile o solo ortostatica valido per tutti, in quanto variabile e sintomatico da individuo a individuo per comprensibili motivi e cause. Se otteniamo un miglioramento soggettivo del paziente sofferente riportando i valori pressori ad un livello un po’ più alto… il risultato ci comunicherà che abbiamo preso verosimilmente la decisione corretta.
Un caso di notevole asimmetria pressoria fra i due arti superiori
Caso clinico 21: PA 160\80 a dx e 100\80 a sx.
Malgrado la segnalazione scritta al MMG ed anche al personale infermieristico (IP), con preghiera di ricontrollare i valori specificando anche il lato, la consegna è stata disattesa da MMG e IP.
Brevi considerazioni
La pressione arteriosa andrebbe misurata bilateralmente, in particolare ai pazienti a rischio per età o per malattie, magari solo una volta l’anno se i valori risultano simili ai due lati: una differenza fra le due braccia superiore a 15 mm di mercurio è indice di rischio di patologia vascolare periferica e cerebrale (20).
Perché ai due arti? Il sangue perviene al cervello attraverso le 2 arterie carotidi e le 2 arterie vertebrali, come un tavolino a quattro gambe. Queste arterie a loro volta nascono dalle arterie sottostanti con qualche variabile (arco aortico, tronco anonimo a destra, succlavia destra e sinistra che vanno verso le braccia), destinate a irrorare, oltre che gli arti superiori, il resto del corpo. Una stenosi importante o un’occlusione a monte, ad esempio di una succlavia, può comportare più o meno gravi ripercussioni sulla carotide o sulla vertebrale dello stesso lato. Ecco spiegato perché è utile la misurazione bilaterale della PA, almeno una tantum nel paziente sano, e comunque sempre in caso di ictus o di rilievo di un polso radiale assente o più flebile del controlaterale.
Una riflessione da Malati per forza (7)
Caso clinico Un braccio senza pressione arteriosa…
La donna, anzi un donnone di 72 anni, era stata ricoverata in pieno ferragosto in neurologia per un verosimile ictus cerebrale: al risveglio al mattino si era accorta di non riuscire a muovere bene gli arti di sinistra. Appena arrivata in reparto mi colpì un certo pallore della mano controlaterale, la destra, quella “sana”. Misurai la pressione arteriosa alle due braccia prima di procedere all’esame neurologico in senso stretto (ma in realtà il criterio che stavo per seguire apparteneva a ragione a quello che in quegli anni ‘90 veniva chiamato bilancio neurovascolare, che in fondo è l’argomento da cui nasce la descrizione di questo caso clinico). A sinistra 180\100 e a destra… zero. Chiesi alla figlia lumi su quella mano pallida e se sapeva dirmi qualcosa sulla differenza di pressione ai due lati. “Il medico la misurava solo e sempre a sinistra almeno da due anni, perché a destra non la trovava…e poi le dava la cura per l’ipertensione”.
Le urgenze adesso erano diventate due: quella neurologica (emiparesi sinistra di grado medio; TC cerebrale urgente negativa… ma sarebbe diventata “positiva” per infarto cerebrale fronto-temporale destro il giorno dopo) e quella chirurgica vascolare (intervento di disostruzione per via arteriosa, ecc.; terapia anticoagulante che provocò una parziale trasformazione dell’infarto ischemico in ischemico-emorragico…).
Commenti. Il trombo stenosante dell’arteria succlavia destra si era esteso fino al tronco anonimo e all’origine della carotide destra, stenosandola. Quella notte di ferragosto la stenosi alla biforcazione fra tronco anonimo e carotide comune di destra aveva raggiunto, ingrandendosi, un punto critico creando i due problemi, quello ischemico cerebrale destro (che aveva provocato l’emiparesi sinistra) e l’altro ischemico all’arto superiore destro.
Tutto ciò poteva essere evitato richiedendo, due anni prima, un “banale” esame ECO-Doppler dei TSA. Anche la prescrizione di ipotensivi andava evitata in quanto “l’ipertensione riscontrata solamente al braccio sinistro” era in buona parte compensatoria a causa della stenosi controlaterale.
Il sangue perviene al cervello attraverso le 2 arterie carotidi e le 2 arterie vertebrali, con le modalità esposte nel disegno. Nell’esempio raffigurato, una stenosi importante all’origine della succlavia destra (A) può estendersi al tronco anonimo e all’origine della carotide comune destra (B), arrivando ad occluderla
Anemia grave
Identificato un caso (caso clinico 17 RA) con grave anemia, che è stato sottoposto a trasfusioni presso l’ospedale civile, con discreto miglioramento, anche cognitivo….
Paziente del 1920 (93 anni) in terapia con aspirina….
Brevi considerazioni: il pallore della paziente non è sfuggito ad un occhio attento. La paziente assumeva aspirina, noto e largamente diffuso antiaggregante piastrinico, che può provocare emorragie nell’ambito di processi ulcerativi gastroduodenali ed enterici, ed in certi casi favorire emorragie cerebrali. ASA o non ASA?
Discussione finale
Da anni il gruppo dell’AIP (che unisce il mondo della geriatria-gerontologia, alla psichiatria, alla neuropsicologia, alla neurologia, alla biologia e alla ricerca, alla sociologia e infine alla poesia!) e quello della SIGG (che rappresenta i geriatri) si battono per un riconoscimento del ruolo della medicina degli anziani, sostenendo la diffusione di una cultura specifica sui loro specifici problemi ed in particolare delle persone istituzionalizzate.
A proposito dell’anziano ospite nelle RA, scrivono Giuseppe Bellelli e Marco Trabucchi nella introduzione al Progetto MARA (22): … retoricamente abbiamo aperto una sfida contro una cultura ripetitiva e mediocre, una visione pessimistica e residuale della vita nelle residenze, anche contro il disinteresse di una certa medicina paludata e pseudoscientifica… Nello stesso lavoro gli autori analizzano un tema da anni dibattuto che riguarda “il troppo ed il troppo poco” nella prescrizione diagnostica e nella terapia dell’anziano:… ovviamente la tematica del troppo o troppo poco riguarda il medico competente, che sa usare i farmaci con razionalità, ponendosi obiettivi chiari… Anche la famiglia esercita una funzione importante nel condizionare le scelte del medico, essa però è spesso confusa, mossa da attese irrealistiche oppure, all’opposto, rinunciataria… e d’altra parte, spesso il paziente senza famiglia è un paziente indifeso… la famiglia media il linguaggio della medicina rispetto alle esigenze dell’anziano… costruisce un ponte tra la realtà, il medico e il personale di assistenza.
Sulle prescrizioni influiscono anche l’ambiente, ovvero ospedale, RA o domicilio e, ovviamente, la personalità di ogni paziente.
Il Progetto SA ha degli evidenti limiti che tuttavia sono bilanciati dal riscontro di diversi atteggiamenti operativi sanitari sicuramente migliorabili, ma solo se cambieranno le attuali non conoscenze sulla complessità della persona anziana, a tutti i livelli nel campo della salute e persino tra i semplici cittadini, come propone un recente articolo del BMJ sul tema della responsabilizzazione del paziente (21).
Il personale del Diurno era stato adeguatamente formato, la struttura è situata in città. All’opposto quello della RA non era stato sottoposto a formazione ad hoc di tipo neurogeriatrico ed era in provincia. I pazienti del Diurno erano seguiti da diversi medici, mentre quelli della RA da due medici di medicina generale (MMG).
Il Progetto SA, quindi, ha messo in luce diversi atteggiamenti operativi su cui è possibile agire in futuro con un cambio di rotta:
- ha confermato dati noti sull’età media nelle due diverse realtà, la quantità di farmaci crescente con l’aumento dell’età e l’attesa preponderanza del genere femminile in particolare nella RA, con un totale tra RA e Diurno, di 34 donne su 45 partecipanti
- ha confermato anche la sottovalutazione della diagnosi nella sfera cognitiva (MCI o demenza): 27 persone su 45 non erano state affatto studiate sotto il profilo cognitivo; di queste 22 su 26 nella RA. Tutti e 45 i partecipanti avevano disturbi cognitivi di vario grado tra il lieve ed il moderato, secondo la valutazione con il test MMSE
è un dato di fatto, ben conosciuto da anni, che le persone ospitate in RA presentano demenza o MCI molto più frequentemente che la popolazione generale: i dati sono variabili in vari studi fino ad ora pubblicati ed eseguiti peraltro in realtà mondiali diverse: una cifra ragionevole indica la presenza di demenza in circa il 75% dei degenti in RA, di cui la metà riceve una diagnosi (24).
Anche gli specialisti in neurologia coinvolti nel percorso clinico del Progetto SA non sempre hanno eseguito la valutazione cognitiva, in 3 casi.
Inoltre, in tema di terapia farmacologica delle demenze, se da una parte esistono delle differenze di comportamento terapeutico tra neurologi, inclusa la continuazione di terapie con I-ChE o memantina pur in assenza di una risposta positiva (pazienti no-responder), dall’altra sono evidenti le difficoltà di ordine “burocratico” e la carenza di sensibilità per provare a somministrarle.
- sintomi clinici di parkinsonismo, come lentezza del movimento, rigidità, inespressività, curvatura in avanti del busto, a volte tremori, sono abbastanza frequenti nella popolazione anziana e nei residenti in RA. Diversi studi hanno confermato la presenza di manifestazioni di tipo parkinsoniano tra il 5 e il 10 % dei residenti in RA, ma anche la sottostima e la mancata diagnosi del fenomeno
Tra i degenti partecipanti 12\45 presentavano una sintomatologia di tipo parkinsoniano di grado lieve-moderato non in relazione ad una “vera” MP. Negli altri 2 casi sul totale di 45, 1 paziente era affetto da Degenerazione cortico-basale (DCB), un parkinsonismo degenerativo che non risponde ai farmaci usualmente impiegati nella MP: la supervisione ha potuto impedire l’uso di tentativi terapeutici non idonei a più riprese proposti dai familiari tramite “consigli ricevuti”; 1 paziente diagnosticato come MP non otteneva risposte adeguate dall’uso della L-DOPA: probabile parkinsonismo “vascolare”? E’ stata indicata una riduzione dei farmaci fino alla sospensione.
Sono stati individuati 6 casi su 12 di parkinsonismo provocato o favorito da antipsicotici tradizionali (di cui 4 da aloperidolo, in genere il più usato), in un caso era coinvolto un antipsicotico atipico di largo uso, la quetiapina (Seroquel).
Associata al parkinsonismo da farmaci era presente acatisia in 2 casi (1 aloperidolo e 1 quetiapina). L’acatisia consiste in un’attività motoria incessante, a volte si manifesta solamente come “un nervosismo interno”, con una logorrea; anche per tali motivi è spesso confusa con la comune ansia agitata, per cui può accadere che venga trattata… con l’aumento dei farmaci incriminati. Pur se apprezzato in un solo caso del Progetto SA, appare confermato che anche gli antipsicotici atipici possono generare (slatentizzare, favorire) sia un parkinsonismo che l’acatisia.
- due casi di atassia (disturbo dell’equilibrio, marcia da ubriaco…) erano imputabili a farmaci, sospesi su indicazione proveniente dal Progetto SA: pregabalin (Lyrica) e carbamazepina (Tegretol)
- la sottovalutazione della diagnosi di delirium è stata confermata: nei 6 casi riscontrati 5 non erano stati diagnosticati. Tra l’altro il delirium è una valida spia di fragilità e di associazione- sovrapposizione con demenza
- sono stati individuati EA in rapporto ad alcune malattie internistiche che con la neurologia hanno una indubbia relazione:
– tra gli 8 diabetici non insulinodipendenti è stata verificata la presenza di 4 pazienti con ripetuti riscontri di ipoglicemia, alcuni sintomatici: sono stati sollecitati i cambiamenti terapeutici del caso. L’analisi dei dati OsMed relativi ai primi nove mesi del 2014, resi noti in gennaio 2015, ci consente di riscontrare ancora importanti sacche di inappropriatezza nell’uso dei farmaci per il trattamento dell’ulcera e dell’esofagite, ma anche nell’uso degli antidiabetici
– in 5 su 6 dei pazienti a cui erano stati consigliati ipotensivi della classe dei calcio-antagonisti si sono verificati edemi alle caviglie, in 2 casi funzionalmente disturbanti: è stata consigliata la sostituzione con altre classi di ipotensivi
– è stato riscontrata ipotensione arteriosa moderata, stabilmente o solamente in ortostatismo, in 12 dei 28 che assumevano terapia ipotensiva. In un caso la segnalazione di una netta differenza pressoria tra i due lati delle braccia non ha ricevuto alcuna collaborazione
– diagnosticato un caso di anemia seria, verosimilmente provocato da ASA (aspirina), che ha richiesto urgenti trasfusioni di sangue
Conclusioni
Il Progetto SA ha confermato che complessità, fragilità e cronicità nel mondo degli anziani ospiti di RA hanno necessità di atteggiamenti operativi diversi dagli attuali e che la sottovalutazione di quadri di interesse neurogeriatrico è tuttora presente e amplifica la spesa sanitaria e sociale in un momento storico ed economico in cui potrebbero essere in discussione i diritti dei più deboli.
Spero che in molti si impegnino attivamente a fare in modo che dai profondi mutamenti demografici e dalle sue conseguenze in campo medico possa nascere una medicina della cronicità in grado di affrontare la notevole variabilità, instabilità, vulnerabilità e complessità nel compito di assistenza e cura, in grado di garantire alle persone fragili e\o affette da patologie croniche una corretta diagnosi, senza omissioni, una affidabile prognosi, una informazione appropriata, una terapia adeguata e priva di EA da farmaci. Dovrebbe realizzarsi con l’impegno una medicina affidata alla cultura solida dell’esperienza neurogerontologica che oggi sembra paradossalmente venire a mancare, fatta di preparazione clinica e di saggezza profondamente maturata, congiunta al buon senso e all’aspetto motivazionale, alla volontà di “prendersi cura” dei deboli e non solo di “curarli”. Certamente, le dinamiche, gli insegnamenti ricevuti e le esperienze del vissuto professionale, anche per sanitari competenti e sensibili, non permettono a volte di tracciare il confine difficile tra accanimento (terapeutico, diagnostico, ecc.) e omissione e abbandono quando si affronta il terreno della fragilità degli anziani.
In tema di errore in medicina si può esordire dicendo in modo apparentemente banale che sbagliare è umano. Di fronte all’errore ci si può comportare in modi diversi. Giacomo Del Vecchio e coautori (23) raccontano, in una interessante analisi, che Alessandro Knips Macoppe, docente a Padova fra il seicento e il settecento, insegnava “con aspro e contegnoso volto… a occultar il fallo”, mentre Erasmo da Rotterdam invitava al pentimento attraverso la formula sintetica “chi non ammette i propri errori ha molto da temere”. Gli autori suggeriscono però una terza via, eticamente corretta e utile: “imparare dall’errore”! Tenuto nascosto, l’errore può ripetersi, ma se viene affrontato e discusso perde la sua potenzialità negativa: l’errore diventa pedagogico! (7)
Gli errori sanitari più eclatanti che vengono raccontati dai vari mezzi mediatici provengono dall’ambito chirurgico, così come è l’area chirurgica quella che raccoglie i meritati allori quando ricostruisce un arto, restituisce la vista, salva una vita. Non si è mai visto su un giornale o in TV una notizia tipo “Ha vissuto mummificata da una cura sbagliata per cinque anni fino a quando è stata liberata da quel farmaco ed è rinata”. Sono in realtà casi clinici, come quelli descritti in Malati per forza, già citato). Eppure, l’esperienza di persone vittime di malpratica medica e di eventi avversi da farmaci, quindi quasi tutti non imputabili ad errori chirurgici, sono la muta e silenziosa maggioranza.
D’altra parte dati recentissimi ci confermano che il 15,3% dei medici italiani è stato chiamato in giudizio da un paziente. È quanto emerge dal sondaggio realizzato dall’Osservatorio internazionale della Sanità in collaborazione con l’Ordine dei medici-chirurghi e odontoiatri di Roma, presentato al ministero della salute nel gennaio 2015. Questa realtà legale va però osservata anche attraverso l’analisi di un aspetto non secondario, quello delle aspettative dei familiari, nel caso siano ingiustificate. Una maggiore comunicazione informata tra medici e paziente-familiari potrebbe creare certamente i presupposti per un ridimensionamento del fenomeno.
La supervisione è una procedura utile per il benessere delle persone anziane e rappresenta un ulteriore stimolo alla collaborazione tra le diverse figure professionali coinvolte nella cura, e tra queste ed i familiari e i pazienti stessi.
Una riflessione: la sanità che cambia, la società e la famiglia che cambiano
I mutamenti epocali della medicina negli ultimi 60-70 anni sono stati vistosi.
Provo a sintetizzare lo scenario attuale:
- meno malattie infettive e carenziali, più malattie cronico-degenerative di vari organi
- progressivo invecchiamento della popolazione
- maggiore sopravvivenza delle donne ma con più spiccata fragilità
- polipatologia, fragilità e cronicità si accompagnano all’uso di un più alto numero di farmaci…
- … da cui un aumento delle “malattie da farmaci” (EA) che nell’anziano trovano delle condizioni predisponenti particolari; rispetto all’altro genere, le donne consumano più farmaci, ad essi rispondono in maniera differente, soffrendo peraltro in maggior misura di EA
- i luoghi della cura: si sta meno in casa propria, come una volta, ma si va più in ambulatori, ospedale, case di riposo, diurni. Sono tutti luoghi, in fondo, “estranei”
- gli ospedali sono cambiati: dalla medicina che accoglieva tutti a quella focalizzata sui pazienti acuti e poco attenta ai bisogni dei malati cronici e fragili
- il ruolo e lo spessore numerico della famiglia sono notevolmente cambiati
- la relazione medico-paziente si è modificata:
- la relazione che si è instaurata progressivamente tra medico e paziente è andata incontro a crescenti difficoltà proprio da quando, paradossalmente, la medicina ha cominciato ad avere a disposizione terapie efficaci per le malattie. Perché i pazienti, da quando hanno iniziato ad essere «curati meglio» avvertono la sensazione di essere «curati meno»?
- da un medico che «sapeva un po’ di tutto» alle specializzazioni che non comunicano e alla frammentazione del corpo del malato. Le specializzazioni hanno creato una medicina di organo e non più dell’organismo intero, della persona
- i medici eseguono più accertamenti che in passato, in buona parte seguendo la via dello spreco chiamata medicina difensiva nel timore di ripercussioni legali
- i medici ascoltano poco i pazienti (medicina narrativa!) e “toccano” meno che in passato anche il loro corpo. L’anamnesi, l’ascolto, il contatto col corpo sono stimolatori di empatia e dell’effetto placebo, sano e gratuito!
- dagli ultimi punti descritti nasce la necessità del dover usare una corretta informazione e una comunicazione appropriata. L’informazione crea la conoscenza, la comunicazione utilizza la conoscenza per modificare i comportamenti. La cattiva informazione e l’incomprensione medico-paziente-familiare rappresentano, fra l’altro, oltre alle problematiche legali, il preludio alla bassa adesione alle terapie consigliate, alle scelte preventive farmacologiche e di stile di vita da parte del paziente; sono inoltre un energico fattore di rischio per malattie da farmaci; infine, creano il presupposto per il successo dei ciarlatani, che, paradossalmente “sanno parlare” ai pazienti e ai familiari meglio dei medici.
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- Bellelli G e Trabucchi M. Progetto MARA. Il miglioramento dell’assistenza nelle Residenze per Anziani. EDIVES. 2012.
- Del Vecchio G, Bettineschi L, Miranda NS. Decisione ed Errore in Medicina. Notizie OM Udine. n.2. 2013. Supplemento relativo all’omonimo Convegno tenuto a Udine. 11 maggio 2013.
- Engedal K. Assessment of dementia and use of anti-dementia drugs in nursing homes. Tidsskr Nor Laegeforen. 2005; 125:1188-1190.
e se come affermi ” la supervisione è una procedura utile per il benessere degli anziani………” cosa aspetti ad accettare la nostra offerta che, ti assicuro non ti impedirà di sentirti “libero” come giustamente la tua età ti richiede? un abbraccio con l’affetto e la stima di sempre e complimenti,il sito mi permetterà di aggiornarmi su di te più spesso buon lavoro Anna
Non ho dubbi, un eccellentearticolo. Spulcio con interesse il blog https://www.ferdinandoschiavo.it. Proseguite con questa grinta.
Mi sembra di essere Figaro nel Barbiere di Siviglia! Ma il mio tempo volge alla fine, ho quasi 71 anni e a volte mi stanco, soprattutto quando mi tocca lottare contro l’ipocrisia e altri mulini a vento.
Ma ieri, come credo sempre, ho parlato ai cittadini da formare da solito appassionato. Così mi pare…
Un abbraccio
Ferdinando
Spulcia pure e magari trasloca qualche informazione a potenziali vittime di malasanità!
Buona lettura!