Dr Ferdinando Schiavo, neurologo dei vecchi
FB professionale: dott. Ferdinando Schiavo
Proposta di Progetto di de-formazione professionale in tema di fragilità, demenze e parkinsonismi
A fin di bene collettivo perché a debita distanza dalla distorsione e dalla zavorra dei pregiudizi e dei luoghi comuni che persistono tra la gente comune, i professionisti non medici della Salute, i medici (e persino gli specialisti neurologi, geriatri, psichiatri e internisti)
Breve lettera aperta ai miei colleghi di lavoro di ogni ordine e grado nel campo della Salute. Intendo, a scanso di equivoci, MMG, Medici di residenze per anziani, Farmacisti, IP, Psicologi, FKTerapisti, Logoterapisti, Animatori, Educatori e OSS
Mi giungono messaggi allarmanti che riguardano i medici e, direi meno spesso gli altri professionisti della Salute elencati sopra, circa l’utilità di partecipare ad un evento formativo sul tema dell’invecchiamento della popolazione, della fragilità, delle “malattie da farmaci” e del campo complesso delle demenze e parkinsonismi.
Mi trovo fondamentamente d’accordo con coloro che, dopo attenta lettura dei contenuti di questo Decalogo del De-Formatore, riconosceranno in maniera onesta che quanto è esposto qui di seguito è già patrimonio proprio ben acquisito e pertanto sperimentato ed applicato nel lavoro. Per loro sarebbe, sì, un evento inutile.
Invito invece gli altri, “quelli che non hanno tempo di leggerlo o che ritengono di sapere già tutto su questi temi emergenti” (sono tra le risposte che ottengono amaramente certe appassionate organizzatrici o gli stupiti organizzatori di eventi su tali argomenti!) ad una ancora più attenta e critica lettura e successivamente ad una umile ed intelligente scelta.
Scrive Tom Nichols in LA CONOSCENZA E I SUOI NEMICI a pag. 26 “… invece, ormai viviamo in una società dove l’acquisizione di un sapere anche minimo è il punto di arrivo dell’istruzione, anziché l’inizio. E questa è una cosa pericolosa”.
L’autore cita anche (pag. 65) l’effetto Dunning-Kruger, dal nome dei due ricercatori della Cornell University che l’hanno descritto nel 1999, l’insidioso fenomeno che condanna chi è incompetente a non accorgersi della propria incompetenza: “… più si è incompetenti e più si è convinti di non esserlo…”
Mi ha molto inquietato in questi anni recenti l’assenza dei medici dell’organico di residenze per anziani agli eventi informativi organizzati nel loro stesso luogo di lavoro o comunque in posti vicini. Credo e temo, per esperienza, che per loro “le cose che non si sanno non esistono” e per tale motivo li torno ad invitare a leggere con umiltà e attenzione queste pagine.
In qualche caso il disinteresse dei medici di una struttura residenziale per anziani o dei MMG afferenti del territorio ha persino determinato la mancata organizzazione dell’evento fortemente voluto dalle altre figure professionali “che desideravano sapere”…
Decalogo del De-Formatore
Ho riflettuto a lungo: in definitiva non mi sento un formatore ma un de-formatore visto quel che vedo in giro da tempo e i motivi per cui devo lottare quasi tutti i giorni con coloro i quali credono che:
- … tutti i vecchi siano obbligati a diventare dementi o comunque, se vanno incontro a qualche deficit di memoria o altro, tutto ciò sia normale.
In questo specifico caso, li accuso pubblicamente di “razzismo dell’età” ovvero di praticare l’AGEISMO, il “tanto è vecchio” che giustifica tutto e spesso la scelta del non fare nulla, ad es. per giungere alla diagnosi di demenza, poiché per loro è normale essere dementi “ad una certa età” (quale?). Un pregiudizio pesante da tollerare.
- … tutte le demenze siano senili o, bene che vada, “di Alzheimer o vascolari”.
La demenza senile non esiste, tanto per cominciare! A meno che non emerga qualche certezza su questa “nuova” forma che si chiama LATE e che vede protagonista una sostanza conosciuta da qualche tempo per altre patologie degenerative, la TDP-43.
Alzheimer e altre demenze: ci sono cascati, pensate, persino i cosiddetti grandi specialisti ministeriali quando nel 2000 circa crearono in tutta Italia le UVA, Unità Valutative Alzheimer, come se non esistessero le “altre” demenze! Eppure già si sapeva delle demenze fronto-temporali e soprattutto della demenza a corpi di Lewy
- … tutte comincino con un disturbo di memoria.
Persino quella di Alzheimer può cominciare diversamente, immaginiamo le “altre”! Ecco due modi, tratti da Quando andiamo a casa? di Michele Farina, giornalista del Corriere della sera ed ideatore e organizzatore degli Alzheimer Fest in giro per l’Italia.
Ma non tutti lo sanno… I sintomi possono esordire in altri modi ancora, sia nell’Alzheimer che, in particolare, nelle altre forme di demenza! E il livello di preparazione per far fronte a queste infinite variabili? Un parkinsonismo può essere presente nel corso di un quadro di demenza così come una malattia di Parkinson e alcuni parkinsonismi possono complicarsi con demenza. A tale scopo, potete leggere sul mio sito la vicenda di Robin Williams, malato… a sua insaputa.
- … quasi tutte vengano “misurate” adeguatamente dal fallace test MMSE (Mini Mental). Il Mini Mental invece mente… spesso.
Infatti, si può essere dementi di grado serio anche raggiungendo il punteggio di 29\30, cioè sbagliando solo un item: basta fare tremende cavolate ad esempio alla copia dei due pentagoni e poi magari replicarle al test dell’orologio…
Questo mancato riconoscimento che ricaduta avrà sulla famiglia? Giustamente il familiare non arriverà a capire perché, fluttuando cognitivamente (le fluttuazioni cognitive, comportamentali e persino della vigilanza sono frequenti, soprattutto nelle LBD), quel congiunto malato in certi momenti si perda per strada e non sappia vestirsi o non riconosca il water rispetto al bidet…
Inoltre, in casi del genere, esiste una difficoltà per la famiglia nell’ottenimento di alcune tutele legate al corretto riconoscimento di invalidità e sotto il profilo legale (testamento, decisioni varie…), anche perché lo stadio demenziale viene “misurato” pure con la CDR (Clinical Dementia Rating Scale). Ma come può “misurarle” bene chiamando stadio MODERATO (CDR 2) una fase in cui enuncia: perdita di memoria severa, materiale nuovo perso rapidamente; difficoltà severa nell’esecuzione di problemi complessi, giudizio sociale compromesso; richiede molta assistenza per cura personale…. Come si intuisce, l’aggettivo moderato in una scala universalmente accettata, può essere invece degno di contestazione perché fonte di errori nel giudizio clinico e prognostico e di conseguenza a livello di tutele legali e amministrative: concessione di invalidità, assegno di accompagnamento, 104.
5…. un paziente apatico sia un depresso. Se ne accorgeranno quando peggiorerà se trattato con antidepressivi! E una persona anziana con psicosi sia solamente affetta da una psicosi tardiva e non, magari, da una demenza (visto che non tutti i medici eseguono i test cognitivi brevi)
6…. ogni caso di aggressività o, peggio, di wandering, di affaccendamento, di misconoscimento della propria abitazione o del marito ecc. vada affrontato SEMPRE con psicofarmaci e non con strategie NON farmacologiche da insegnare e fare apprendere ai familiari e agli altri professionisti della salute…
7…. per contrastare i disturbi comportamentali usano in primis gli psicofarmaci – di varie tipologie – iniziando da una dose magari alta, per poi magari aumentarla anche se la persona malata peggiora, invece di iniziare da dosi basse e poi valutare secondo la SCHEDINA SCHIAVO, che dice:
E se proprio dobbiamo usarli, cominciamo con una dose bassa… E così vedremo:
1 = va peggio: non aumentare! Come in un labirinto, bisogna tornare indietro e provare altro, col pudore del buon senso.
X=resta uguale: si può provare la dose superiore.
2= migliora: ci è andata bene! Continuare con la dose minima efficace e non per sempre! Questo perché “le cose cambiano” nel corso di un quadro di demenza: le allucinazioni comparse a giugno possono scomparire a novembre la terapia o spontaneamente (e in modo paradossale) con l’evoluzione della malattia!
8… non sanno cosa sia la temibile e incompresa ACATISIA da farmaci e colpevolmente aumentano le dosi dei farmaci incriminati creando un terrificante circolo vizioso!
Leggere su www.ferdinandoschiavo.it e altrove!
9… continuano a dare gli inibitori delle colinesterasi (I-ChE) e\o la Memantina anche nei pazienti che “non rispondono”, ovvero non traggono alcun vantaggio. E magari non li sospendono neanche davanti a una complicazione favorita dal loro uso, come una sincope o una crisi epilettica.
10… consigliano due (o anche tre!) farmaci da iniziare contemporaneamente, ad esempio un I-Che (Donepezil o Rivastigmina) e un antipsicotico atipico (Quetiapina-Seroquel, la più amata dagli italiani!).
Se il paziente sviene o peggiora o comunque non tollera uno dei due farmaci, come si farà a scoprire quale dei due è il responsabile? Nel water ambedue, allora! Suggerimento di buon senso clinico: iniziare con uno e far partire il secondo dopo qualche giorno…
Un decalogo in effetti non basta
- Primo supplemento al punto 10: quando ti trovi davanti a una persona con demenza che assume tre o quattro psicofarmaci, è confusa, rallentata, spesso freneticamente acatisica, e i familiari ti chiedono delle risposte, io rispondo invece con delle domande: “ma come cavolo avete fatto ad arrivare a 3, 4 psicofarmaci? Come mai, se il primo non “funzionava” (o peggio, creava effetti paradossi ecc.) non è stato sospeso? E così il secondo e poi gli altri?”
Proposta: se con calma li riduciamo uno alla volta fino alla possibile sospensione e la persona malata resta così (tenendo conto che qualche volta migliora vistosamente!) vi va bene? Ovvero: se torna uguale a prima ma senza gli psicofarmaci è già un dato positivo, che può comportare un tentativo NON farmacologico oppure uno con un singolo psicofarmaco, da valutare secondo Schedina Schiavo.
- Secondo supplemento al punto 10: chiediti SEMPRE se quella persona malata “è così per evoluzione naturale della malattia o perché assume farmaci inappropriati o per altri motivi”? La lettura del caso 29 di Malati per forza e di altri casi ti farà capire meglio. La puoi trovare anche sul mio sito: è la storia della “mummificata”. Nel corso dei suoi quasi 5 anni di patimenti, è stata visitata da diversi specialisti del triveneto, nessuno dei quali si è posto la domanda che ho riportato poche righe fa. La protagonista e i suoi familiari non hanno sporto denuncia…
- Terzo supplemento al punto 10: chiediti, se valuti una persona con sintomi parkinsoniani, se è veramente malattia di Parkinson o si tratta di un Parkinsonismo: nel primo caso migliora sotto il profilo motorio con l’assunzione dei dopaminergici (dai tanti nomi), nel secondo in genere no, a parte in qualche caso una iniziale debole e transitoria risposta motoria.
Ragionamento di buon senso condito con scienza: se non migliora sul piano motorio e per giunta soffre degli eventi avversi di questi farmaci (allucinazioni ed altro), è corretto continuare? Traetene le conclusioni!
Ne ho scritto in un capitoletto a pagina 129 di Malati per forza: Quando la malattia di Parkinson si rivela essere o diventa “altro”.
- Quarto supplemento al punto 10: gli anticolinergici. Se una persona anziana con o senza sintomi parkinsoniani di varia natura presenta alterazioni cognitive (e spesso NON a carico della memoria, per cui non vengono riconosciute!) e\o comportamentali (tipo psicosi e allucinazioni e magari nell’ambito di un quadro di demenza non riconosciuta in quanto non adeguatamente indagata) ed assume anticolinergici tipo Akineton, Tremaril, Kemadrin, Artane, Sormodren, Disipal … potreste chiamare i Carabinieri!
Queste molecole fanno parte del vasto campo dei farmaci ad azione anticolinergica (che significa anti-acetilcolina, noto neurotrasmettitore, e quindi ad azione anti-memoria ed altro ancora!) tra cui Buscopan ed altri antispastici viscerali che ben conosciamo, Laroxyl ed altri antidepressivi triciclici, Paroxetina, Codeina… in un orizzonte vasto che comprende circa 600 sostanze non tutte qui elencabili.
Tali farmaci possono far peggiorare un quadro di demenza preesistente oppure contribuire a favorire o provocare un Delirium, che è sostanzialmente uno stato confusionale che può portare persino alla morte e comunque ad un peggioramento della fragilità tale da limitare successivamente l’autosufficienza.
Il Delirium è purtroppo poco o mal conosciuto dai medici malgrado sia funestato da conseguenze serie e sia presente in circa il 20-25% dei ricoverati in ogni ospedale occidentale!
Alcune parziali riflessioni su un tema complesso in cui i farmaci non sono gli unici incriminati…
Anche le cattive abitudini, il “si è fatto sempre così” che porta alla contenzione meccanica…
- Infine, quinto supplemento che si riallaccia al punto precedente e che sta alla base della medicina olistica, quella che guarda oltre i confini di un organo e di una malattia: molti medici non conoscono la COMPLESSITA’ determinata dalla fragilità e dalla cronicità, molto comuni nelle persone anziane, soprattutto se di genere femminile!
Tale complessità incide notevolmente nella gestione di una persona anziana con demenza, in cui i “contorni”, ovvero le malattie (diabete, ipertensione, cardiopatie ecc.) e altri fattori (obesità, sedentarietà, solitudine, ecc.) vanno affrontati in modo olistico, prendendosi in cura dell’intera persona e non limitandosi al proprio orticello specialistico.
Gli errori nel campo della prescrizione dei farmaci, trattandosi peraltro di persone che ne assumono diversi e per varie patologie, possono nascere per numerosi motivi tra cui l’inappropriatezza (cfr. anche il mio Malati per forza oppure il sito www.ferdinandoschiavo.it e www.perlungavita.it oppure i Criteri di Beers su JAGS 2015).
Tra questi errori si annida anche la scorretta RICONCILIAZIONE, una sorta di revisione periodica (e in particolare in occasione di trasferimenti da ospedale a casa o in altra struttura!) della terapia farmacologica. In questo compito la “medicina della fretta” non aiuta!
Il Progetto è adatto a un percorso formativo svolto a debita distanza dai luoghi comuni e dai pregiudizi, adatta ai professionisti della sfera sociale e sanitaria di ogni livello e grado, dei comuni cittadini e degli alunni delle scuole superiori, di chi desidera impegnarsi contro il razzismo dell’età, ovvero l’ageismo, e la sottovalutazione delle emergenti malattie neurodegenerative con il loro corollario di incombenti “malattie da farmaci”.
Note suppletive dedicata ai professionisti “non-medici”
A proposito di quei professionisti della Salute che affermano: “I farmaci li ordina il medico ed è solo lui che può gestirli. Noi cosa c’entriamo?”
La responsabilità sui farmaci prescritti è sempre dei medici?
Infermiere – Dovere di vigilanza prescrizione farmaco
- Corte di Cassazione Penale – Infermiere – Dovere di vigilanza prescrizione farmaco – L’infermiere ha un preciso dovere di attendere all’attività di somministrazione dei farmaci in modo non meccanicistico, occorrendo viceversa intenderne l’assolvimento secondo modalità coerenti a una forma di collaborazione con il personale medico orientata in termini critici e tanto non già al fine di sindacare l’operato del medico, bensì allo scopo di richiamarne l’attenzione sugli errori percepiti. (Sentenza n. 2192/15).
FATTO. Con sentenza resa in data 6/11/2012, il giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Busto Arsizio ha pronunciato l’assoluzione di L.R. e di P.L. dall’imputazione relativa al reato di omicidio colposo, dagli stessi asseritamente commesso, in violazione della disciplina relativa all’esercizio della professione infermieristica, ai danni di Pa.Fe., in (OMISSIS).
Agli imputati era stata originariamente contestata la condotta colposa consistita nel cagionare il decesso del Pa., avvenuta a seguito della somministrazione allo stesso del farmaco Amplital, contenente amoxicillina, cui il Pa. era allergico.I n particolare, al L., in qualità di infermiere professionale caposala in servizio presso il reparto di urologia dell’ospedale di (OMISSIS), era stata originariamente contestata la condotta omissiva consistita, da un lato, nel mancato rilievo, per negligenza o imperizia, del contrasto tra la prescrizione medica dell’Amplital e l’allergia del paziente all’arnoxicillina e, dall’altro, nella mancata segnalazione di detto contrasto al personale medico.
DIRITTO: Sul punto, varrà osservare come, in considerazione della qualità e del corrispondente spessore contenutistico della relativa attività professionale, non possa non ravvisarsi l’esistenza, in capo all’infermiere, di un preciso dovere di attendere all’attività di somministrazione dei farmaci in modo non meccanicistico (ossia misurato sul piano di un elementare adempimento di compiti meramente esecutivi), occorrendo viceversa intenderne l’assolvimento secondo modalità coerenti a una forma di collaborazione con il personale medico orientata in termini critici; e tanto, non già al fine di sindacare l’operato del medico (segnatamente sotto il profilo dell’efficacia terapeutica dei farmaci prescritti), bensì allo scopo di richiamarne l’attenzione sugli errori percepiti (o comunque percepibili), ovvero al fine di condividerne gli eventuali dubbi circa la congruità o la pertinenza della terapia stabilita rispetto all’ipotesi soggetta a esame; da tali premesse derivando il ricorso di puntuali obblighi giuridici di attivazione e di sollecitazione volta a volta specificamente e obiettivamente determinabili in relazione a ciascun caso concreto.
E’ appena il caso di rilevare, per altro verso, come del tutto correttamente la corte territoriale abbia impostato e risolto il tema della rilevanza causale delle colpevoli omissioni ascritte all’imputato (di là dall’elevata credibilità razionale del relativo rilievo condizionalistico ipotizzabile alla luce del ragionamento controfattuale), confermando l’esclusione di alcuna incidenza risolutiva del nesso di causa alle successive omissioni imputabili al personale infermieristico e medico succedutosi nella cura del paziente, avendo coerentemente richiamato la decisiva rilevanza sul punto rivestita dal consolidato insegnamento di questa corte di legittimità, ai sensi del quale, in tema di causalità, non può parlarsi di affidamento quando colui che si affida sia in colpa per avere violato determinate norme precauzionali o per avere omesso determinate condotte e, ciononostante, confidi che altri, che gli succede nella stessa posizione di garanzia, elimini la violazione o ponga rimedio alla omissione, con la conseguenza che qualora, anche per l’omissione del successore, si produca l’evento che una certa azione avrebbe dovuto e potuto impedire, esso avrà due antecedenti causali, non potendo il secondo configurarsi come fatto eccezionale, sopravvenuto, sufficiente da solo a produrre l’evento).
- Cassazione, medici e infermieri responsabili per i farmaci somministrati
La Suprema Corte ha condannato sia il personale infermieristico che medico a causa di un errore di s. di un farmaco antiblastico
Il compito di somministrare i farmaci negli ospedali spetta agli infermieri, che vi adempiono attenendosi alle prescrizioni fatte dai medici. La Corte di cassazione, con la sentenza numero 20270/2019, ha però precisato che la somministrazione del farmaco è un atto non meccanicistico ma collaborativo con il personale medico.
Ovvero l’infermiere, pur non potendo sindacare l’operato del medico, deve in ogni caso richiamare l’attenzione su degli errori che sia in grado di apprezzare ed esporre i suoi eventuali dubbi circa la congruità o la pertinenza della terapia. In pratica ha un ruolo di garanzia nella sfera della terapia farmacologica, limitato al confronto con il medico al quale è demandata la scelta della cura migliore per il paziente.
Tra i compiti dell’infermiere c’è la “segnalazione di ‘anomalie’ che sia in grado di riscontrare o di eventuali ‘incompatibilità’ fra farmaci o fra la patologia ed il farmaco da somministrare o fra particolari condizioni (per es. allergie annotate in cartella o a sua conoscenza) e la cura prevista”.
La vicenda
Nel caso in questione, all’infermiera imputata in giudizio era stato rimproverato di aver preparato una dose di un farmaco per un paziente, attenendosi alla prescrizione interna nonostante la chiara esorbitanza rispetto alla posologia contemplata nell’esperienza medico-scientifica e alle tecniche di somministrazione del farmaco.
La donna aveva agito senza preoccuparsi di sollecitare un medico strutturato affinché controllasse l’adeguatezza della posologia, nonostante i dubbi nutriti in proposito. Si era tuttavia confrontata con uno specializzando. Nel dettaglio l’’errata somministrazione di un farmaco antiblastico a una paziente affetta da linfoma di Hodgkin in chemioterapia ne aveva provocato la morte. Questo perché durante il ciclo terapeutico è stata somministrata, per errore di trascrittura sul foglio di prescrizione interna, una dose di 90 mg di farmaco antiblastico anziché 9 in base alla superficie corporea della paziente, già trattata in precedenza in modo analogo, ma con le giuste dosi, con successo.
I referenti degli infermieri
Per la Cassazione, occorre che il giudice del merito torni sul punto, verificando se, dai vari elementi raccolti in giudizio, possa essere ricavata una regola di condotta contenuta in norme procedurali note o conoscibili dall’agente modello, che preveda che l’infermiere, per sciogliere dei nodi relativi al dosaggio dei farmaci, debba confrontarsi solo con medici cc.dd. strutturati e non possa validamente interloquire con gli altri medici operanti nei reparti, come gli specializzandi, comunque dotati di relativa autonomia di intervento.
Per la Cassazione l’infermiere ha un ruolo di garanzia nella terapia farmacologica, limitato al confronto con il medico che invece deve scegliere la cura migliore per il paziente. Per cui è obbligo dell’infermiere la “segnalazione di anomalie che egli sia in grado di riscontrare o di eventuali incompatibilità fra farmaci o fra la patologia ed il farmaco da somministrare o fra particolari condizioni (per es. allergie annotate in cartella o a sua conoscenza) e la cura prevista”.
Prima e dopo la vicenda erano intervenuti anche altri colleghi dei due professionisti, ma senza risolvere l’errore e, quindi, anch’essi imputabili secondo i giudici. Secondo la Cassazione, infatti, “l’evento letale era stato determinato da un gravissimo errore dell’anestesista, qualificato dalla Corte “rischio nuovo e drammaticamente incommensurabile”, rispetto a quello innescato dalla prima condotta”.
“Si tratta di un principio – si legge nella sentenza – ribadito anche di recente da questa Sezione, secondo cui, in tema di reati colposi omissivi impropri, l’effetto interruttivo del nesso causale può essere dovuto a qualunque circostanza che introduca un rischio nuovo o comunque radicalmente esorbitante rispetto a quelli che il garante è chiamato a governare”.
“Il canone si estende certamente – prosegue la sentenza riportata da Quotidiano Sanità – al reato commissivo, qual è quello di specie, e che, tuttavia, in egual modo implica che l’esorbitanza del rischio sia tale da costituire ‘rischio nuovo'”. “Nell’ipotesi in esame – sottolinea la Cassazione – il rischio garantito da colui che compila la diaria della cartella clinica, indicando la dose del farmaco da somministrare, è quello relativo alla tutela del paziente da errori posologici che possano influenzare la salute e l’efficacia della cura.
Laddove successivamente, sulla base di quell’errore, intervenga da parte di medico che opera in un secondo momento, proprio l’errata somministrazione, non può ritenersi ‘non nuovo’ il rischio determinato dalla realizzazione dell’errore primario, che il primo agente era chiamato a evitare”. Secondo la sentenza quindi “non può ritenersi … che la condotta del medico specialista abbia interrotto la serie causale attivata proprio dalla condotta colposa del medico specializzando”.
E per quanto riguarda l’infermiera il discorso è analogo e la sentenza sottolinea che “vanno richiamate le medesime osservazioni”. Secondo la Cassazione “a questo punto, prima di affrontare le ulteriori questioni poste, relative alla sussistenza del reato continuato in concorso relativo e alla commisurazione concreta della pena debbono vagliarsi gli ulteriori motivi essendo stati già esaminati quelli di rito”. La Cassazione fa riferimento alla normativa che regola la professione di infermiere, sottolineando la “pluralità di disposizioni di natura legislativa e regolamentare che ne hanno profondamente mutato la natura disegnando l’autonomia operativa propria tipica della figura professionale”.
“La complessa normativa tratteggia dunque spiega la sentenza – una figura professionale che, per le competenze che le sono affidate, assume una specifica e autonoma posizione di garanzia nei confronti del paziente nella salvaguardia della salute, della cura e dell’assistenza, il cui limite è l’atto medico”.
In questo ambito secondo la Cassazione l’atto di somministrazione del farmaco è concepito, secondo la giurisprudenza di legittimità come atto “non meccanicistico ma collaborativo con il personale medico orientato in termini critici, al fine non di sindacare l’operato del medico bensì per richiamarne l’attenzione su errori percepiti ovvero per condividere gli eventuali dubbi circa la congruità o la pertinenza della terapia stabilita”. Secondo la sentenza “è chiaro tuttavia, che la prescrizione dei farmaci resta al di fuori delle competenze infermieristiche e che il ruolo di garanzia che compete all’infermiere nella ‘sfera’ della terapia farmacologica si limita al ‘confronto’ con il medico cui è demandata la scelta della cura”.
“E’ chiaro – concludono i giudici della Suprema Corte come si legge su Quotidiano Sanità – che l’elemento della disorganizzazione, della confusione dei compiti, della mancanza di un procedimento di controllo dell’opera degli specializzandi e in generale dei medici operanti nel reparto, ma ancor di più l’affidamento di compiti di ‘copiatura’ delle prescrizioni a meri studenti di medicina, ignari del significato delle indicazioni trascritte, l’assenza di controlli successivi destinati a elidere gli eventuali errori e, dunque, in generale la mancanza di una procedimentalizzazione effettiva, coinvolgente tutti gli attori intervenienti nella formulazione, nella comunicazione e nell’approntamento del farmaco da somministrare, sono condizioni incidenti sul grado di rimproverabilità della condotta, che non possono venire tout court ignorate nella determinazione della pena per il reato colposo”.
Quello che viene descritto dalla sentenza come un vero e proprio ‘sfascio organizzativo’, la cui entità portò, dopo l’ispezione, alla chiusura del reparto di oncologia, “deve riversarsi sul giudizio relativo alla sanzione penale irrogata per il reato colposo, essendo detto quadro quello in cui si maturarono la negligenza e l’imperizia dei medici coinvolti, certamente favorite dalla più generale negligenza connotante l’assenza di adeguamento dell’unità operativa agli standard di sicurezza necessari, ragione per la quale si giunse alla temporanea sospensione dell’attività”. Per la Cassazione la sentenza della Corte d’appello “riconosce che un simile stato di cose influenzò la commissione dei reati di falsità ideologica, il cui elemento soggettivo per la sua natura dolosa, prescinde dalle condizioni esterne, che possono al più oggettivamente agevolare la realizzazione del delitto, ma non considera, invece, che proprio la disorganizzazione grava in concreto sull’effettiva realizzazione della condotta colposa incidendo sulla divergenza fra la condotta tenuta e quella attesa”.
dott. Ferdinando Schiavo