MARESCIALLO, IL SUO CAFFE’. SETTE STORIE DI DEMENZA “STRAORDINARIA”
Di Annapaola Prestia. Publied Edizioni
Inizia con la dedica al figlioletto, ed è già un abbozzo di scambio intergenerazionale, questo appassionante libro di Annapaola Prestia, e prosegue con sette storie che fanno da filo conduttore per un percorso che si snoda tra i diversi modi umani e nello stesso tempo scientifici del prendersi cura di una Persona con demenza. Sette racconti frutto della personale esperienza professionale dell’autrice in un diurno, ricchi di emozioni e resi straordinariamente didattici poiché ognuno trasuda curiosità (Annapaola continuerà ad imparare fino a 90 anni, ne sono sicuro!), empatia, competenza, voglia di risolvere e portare a termine decorosamente il proprio compito contro un nemico invadente e progressivo. Le vicende umane diventano l’occasione per discutere di Terapie Non Farmacologiche (TNF) – si badi, nessuna è in conflitto con un’altra – a scapito (per fortuna!) della soluzione facile, lo psicofarmaco, la scelta non sempre idonea a far fronte all’arcobaleno mutevole dei problemi comportamentali.
Da anni – e ora mi viene confermato da questo suo testo – sento di avere in comune con Annapaola la voglia di lottare contro gli stereotipi, i pregiudizi, la zavorra dei luoghi comuni che imperversano nel campo delle demenze, cominciando dalla “demenza inesistente, la demenza senile”. Da neurologo dei vecchi mi capita di essere in contrasto con qualche mio collega che potrei definire eufemisticamente sbrigativo e, all’opposto, di condividere con lei e con altre figure professionali “non mediche” modi di vedere che considero fondamentali per potersi occupare nella maniera più competente ed efficace di Persone vulnerabili.
Qualche battaglia condivisa, in breve: le demenze – al plurale: sono stufo di sentir parlare della sola demenza di Alzheimer! E, per favore, non chiamatela “morbo”. Questo vale anche per la malattia di Parkinson! – vanno studiate e conosciute in maniera approfondita da chi lavora in questo campo; i loro punti nodali devono essere comunicati in maniera corretta ai familiari (e alle Persone malate quando è ritenuto possibile); le strategie non farmacologiche rappresentano la priorità per affrontare la maggior parte dei disturbi comportamentali; i farmaci raffigurano al momento solamente la ruota di scorta e vanno adoperati con scienza e coscienza, ovvero in maniera appropriata, che si tratti di sostanze per la “parte cognitiva”, i vari Donepezil, Rivastigmina, Memantina (a cui – bisogna dirlo! – solo meno di un terzo dei pazienti “risponde” in qualche modo positivamente) o di quelli per la componente comportamentale drasticamente disturbante; il tutto va fatto tenendo conto della peculiarità di “quella” Persona con demenza e di “quei” familiari, quasi sempre vittime e risorsa e solo in piccola parte, per fortuna, dannazione.
Scrive Annapaola: “C’è bisogno di domandare, una, dieci, cento, mille volte la stessa cosa, ad una persona autorevole, affidabile e competente”. C’è bisogno di anamnesi, di narrazione, di pazienza, di ascolto, di perseveranza: é il motivo per cui amo il personaggio del tenente Colombo e il suo modo di agire!
C’è bisogno, da parte di chi ”sa”, di tempo da dedicare a queste Persone, i malati e i familiari, agli insostituibili professionisti “non medici” che popolano questa società e sanità della fretta e un territorio, quello abitato dalle demenze. Servono tempo e magari dei brevi scritti formativi già predisposti da indirizzare ai medici per la loro auspicabile lettura e per una indispensabile collaborazione.
Complessità. L’autrice accenna alla demenza a corpi di Lewy (DLB) partendo dal racconto della moglie dell’attore Robin Williams pubblicato su un’importante rivista internazionale di neurologia (Schneider Williams S. The terrorist inside my husband’s brain. Neurology 2016;87:1308-11). Accanto ai sintomi descritti in questo testo da Annapaola bisogna aggiungere – pensate! – la perdita dell’odorato (anosmia) e la stitichezza! Cosa vuol dire? Che in questo tipo di demenza sono compromessi anche pezzi del sistema nervoso autonomo, vegetativo, sensoriale che non hanno nulla a vedere con il luogo comune della perdita di memoria! La DLB può manifestarsi, appunto, con la stitichezza attraverso la degenerazione di apparati neuronali intestinali e con la perdita dell’odorato per compromissione di specifiche aree a livello cerebrale, ma può esordire con allucinazioni complesse, con “svenimenti” (sincopi) legati all’ipotensione ortostatica (la pressione arteriosa che si abbassa drasticamente quando da disteso o da seduto ci si mette in piedi), a dimostrazione che la complessità è la regola sin dall’inizio: sul mio sito www.ferdinandoschiavo.it sono presenti quattro racconti emblematici ed istruttivi, tra cui quello di Robin Williams.
Ancora sulla complessità. Quest’anno ho voluto battezzarlo come Modello Complesso Sfottuto di Ferdinando Schiavo, a venti anni esatti dalle critiche ricevute ad un convegno (“Ma lei, Schiavo, vede complicato quello che non è”): è composto da quattro campi, immaginate quattro cerchi, uno cognitivo, uno comportamentale, uno motorio (quando c’è) e infine uno vegetativo-sensoriale, quel comparto automatico, sotterraneo, di cui ho scritto prima e su cui non possiamo esercitare la nostra volontà. In tutte le Persone con qualsiasi tipo di demenza, e non solo quindi nella complicata DLB, sono presenti anomalie della scelta dei cibi (“mia mamma ha cominciato a ingurgitare dolci, lei che non li amava per nulla”), della fame e della sete, dimagrimento, turbe complicatissime dell’architettura del sonno, ipotensione ortostatica, sintomi che possono inaugurare un quadro di demenza e a volte precedere di qualche mese e persino anni le manifestazioni meglio conosciute.
“Se ci penso bene, mia madre ha cominciato a dimagrire prima di mostrare i sintomi che ci hanno orientato successivamente verso una demenza. Esami a posto, non c’era nessuna neoplasia, nessuna strana malattia…”.
“Mio marito da un po’ di anni di notte “agiva i propri incubi” e si difendeva picchiando all’impazzata, cioè me che gli dormivo accanto. Solamente cinque anni dopo sono comparse le allucinazioni…”. Si chiamano RBD, alterazioni comportamentali nella fase REM del sonno e rappresentano un marker precoce di una possibile demenza a corpi di Lewy o di una malattia di Parkinson che può facilmente evolvere in demenza.
Nella vicenda che ha visto protagonista Robin Williams, dopo la stitichezza e l’anosmia, l’ansia, l’insonnia e la depressione, sono comparsi segni della malattia di Parkinson: quella diagnosi aveva convinto parzialmente l’attore che si era lamentato pochi mesi dopo – inascoltato dai medici – di avvertire dei problemi cognitivi, di “avere forse l’Alzheimer”. L’autopsia gli ha dato in parte ragione: ha rivelato un cervello distrutto dai corpi di Lewy. Un parkinsonismo (lentezza dei movimenti spontanei e volontari, non sempre è presente il tremore) può rappresentare, quindi, il sintomo di esordio di una DLB, ma spesso inquina i quadri clinici delle demenze fronto-temporali e di quella vascolare e persino il percorso già travagliato della demenza di Alzheimer, per restare tra i quadri clinici più frequenti.
Si peggiora sotto il profilo motorio anche attraverso numerosi farmaci, dal “famigerato Serenase-Haldol” al Plasil, al Levopraid, al Mutabon ansiolitico (dal nome sembrerebbe un tenero ansiolitico, no?) e a decine di altre Mine Vaganti che colpiscono, in questo caso, il neurotrasmettitore dopamina.
Esistono poi altre Mine Vaganti che si scontrano con il neurotrasmettitore acetilcolina: Buscopan vi dice qualcosa? Ha altre circa 600 molecole a fargli compagnia e a dare fastidio alla memoria, e non solo!
Infine, altri esordi nel campo comportamentale, un po’ misteriosi e sconcertanti. “Non capivo bene perché mio padre, una vita da entusiasta, fosse diventato depresso, e come mai gli antidepressivi lo facessero peggiorare. Poi il neurologo mi ha spiegato che era apatico e non depresso – ho riflettuto, aveva pienamente ragione! – e che purtroppo certi antidepressivi fanno peggiorare l’apatia. Ha aggiunto che c’erano anche dei problemi cognitivi “organizzativi” e di attenzione, più che di memoria; insomma, c’era una demenza in fase iniziale…”.
Ogni storia raccontata da Annapaola per me è stata un’opportunità per continuare ad imparare e riflettere, qualche volta per commuovermi. Corredata da un utilissimo “Memory Box, cose da non dimenticare”, sigilla in un breve spazio e con singolare intelligenza i contenuti strategici. Mi soffermo su tutte, molto brevemente su alcune (e non significa che siano meno interessanti e prive di spunti di riflessione).
Nella prima, Vincenzo, si discute di TV sempre accesa e del fatto che non sempre gli attuali programmi interessino chi è nato 80 anni fa. Ognuno appartiene alla sua epoca! Dobbiamo tenerne conto. E c’è pure una sorpresa: “me lo ritrovai lì, seduto di fronte ad un vecchio pianoforte a coda”.
La seconda, Anna, ha splendidi risvolti umani e rappresenta anche la circostanza utile per parlare dell’approccio Gentlecare® di Moyra Jones “L’adattamento all’ambiente non guarisce la demenza, ma finché non sia stata trovata la cura medica, la creazione di ambienti familiari può fare molto”. Vi é contenuta anche la storia di Luigi, che, spostato di stanza, faceva la pipì dove capitava, “in qualcosa che assomigliasse ad un wc. Ed il portaombrelli chiaro faceva proprio al caso suo”. Un chiaro esempio di ambiente non protesico.
Si accenna anche all’ospedale, realmente inadatto a prendersi cura delle Persone con deterioramento cognitivo. In FVG in circa trenta anni ho visto due sole lettere di dimissione che contenevano la parola DELIRIUM, pur trattandosi di quadri clinici seri e a volte ad andamento severo o mortale, caratterizzati (a voler essere brevi) da uno “stato confusionale”, frequentissimi nel mondo occidentale: le Persone con DELIRIUM rappresentano almeno il 20% dei ricoverati di ogni ospedale!
Con Ninetta, una piccola grande donna, si entra in “politica” in quanto è una vera antifascista che vive le paure del passato come minacce ancora attuali (non avrebbe tutti i torti!). Questa storia dà modo all’autrice di esporre l’approccio Validation® di Naomi Feil: “il suo contatto continuo con quegli anziani intrappolati in un mondo parallelo, apparentemente distante ed incomprensibile, le dà l’opportunità di capire una semplice ma sconvolgente verità… A nulla serve trattenerli nella realtà, così come la concepiamo, perché non hanno più gli strumenti per analizzarla e comprenderla e ne rimangono semplicemente sgomenti, bisogna tentare di entrare noi nel loro mondo…”.
Nella narrazione si accenna utilmente alla “sindrome del tramonto”, alle fluttuazioni sia cognitive che comportamentali, alle Persone che sembrano spente e invece “capiscono”, tutti elementi su cui devono essere molto efficienti le nostre capacità intuitive: serviranno a informare i familiari e chi lavora insieme a noi, sono doti necessarie per mettere in atto strategie adatte a compensare aggressività e scatti d’ira, non dimenticando da parte nostra pudore, discrezione e rispetto.
In Manuela e il suo “Quando andiamo a casa?”, domanda venata di tenera nostalgia che sembra il motivo conduttore di molte storie ordinarie di demenza, oltre ad essere il titolo del bel libro di Michele Farina, le parole hanno un peso e l’approccio capacitante viene esposto con i semi dell’esperienza sul campo.
C’è poi Roberta e la terapia della bambola, l’ennesima occasione per insistere sulle strategie non farmacologiche, a costo di dover “lottare” contro i familiari, come bene ci racconta Annapaola. E’ il momento di tornare a ricordare il collega Ivo Cilesi, il gigante buono scomparso tra i primi a causa del coronavirus.
Il mio omonimo, Ferdinando – Maresciallo, il suo caffè! – ci conduce per mano a un aspetto di non poco conto: l’assenza di coscienza di malattia impedisce l’esecuzione di esami e in vario modo intralcia la gestione di queste Persone. Annapaola approfitta del contesto per citare uno splendido sobillatore (amo certi eretici), Tom Kitwood: “la cura della Persona malata di demenza deve essere necessariamente centrata sulla Persona stessa, con quella personalità, quella storia peculiare, quei problemi e acciacchi fisici, quegli specifici familiari e così via”.
Finalmente si parla di Persona e di quelli che mi piace chiamare, ricordandovi che il neurologo è un internista e non va confuso con altre figure professionali, “i contorni”, ovvero lo stato di salute generale, fondamentale per una visione globale che accomuna cervello, mente e corpo. A tale proposito, la storia di Ferdinando ne contiene un’altra, di malasanità: quella di Andrea, vivace vecchietto diventato ad un certo punto un uomo spento, “che nessuno visitava” a parte finalmente! un’accorta geriatra (la “gente” e molti medici non capiscono l’utilità di questa preziosa figura professionale!) veloce nel diagnosticare uno scompenso cardiaco e farlo tornare a vivere dignitosamente la sua vita (racconto un caso analogo sul mio sito in Avviso Importante: un anziano scambiato per “ansioso”).
Cercare i dettagli, sperimentare strategie nuove, seguire il proprio intuito personale al momento, devono far parte del bagaglio di chi si occupa delle Persone con la mente lontana.
L’ultima vicenda narrata in questo libro esordisce con la godibile storiella dei porcospini di Arthur Schopenhauer che vi invito a leggere insieme a tutto il resto, fino e oltre l’abbraccio commosso tra Annapaola e la moglie di Lionello.
Anche se sta aumentando significativamente il livello di conoscenze sulle demenze da parte dei medici e degli altri operatori sanitari, restano ancora sacche di impreparazione, di scarso interesse, di ridotto impegno. Lo scrive Marco Trabucchi in Fondazioneleonardo.it nella news del 25/02/2016.
Ne so qualcosa, ho “inventato” (ma non sono tanto sicuro che sia solamente una mia invenzione) un personaggio per un prossimo mio libro, un senza passione, un destinato dal primario all’ambulatorio Disturbi Cognitivi suo malgrado o per propria scelta irresponsabile, un medico che lavorerà con scarso impegno e carente sensibilità, limitandosi allo stretto necessario. L’ho chiamato dottor Simplicio Malavoglia, neurologo di sfiducia. Non ama le TNF, le Terapie Non Farmacologiche. Forse non conosce le strategie senza farmaci, e comunque non le applica.
Le TNF, lo ribadisco, sono la priorità rispetto al metodo pistolero di Simplicio Malavoglia: il ricorso al “calmante” nell’ottica errata e perversa che “Persona con demenza aggressiva o agitata + Psicofarmaco” ottiene sempre come risultato “Persona con demenza calma, orientata e disponibile”.
E’ invece necessario, indispensabile, stabilire una relazione, applicare elementari norme di buona educazione, quella umana e realmente empatica, non certamente l’affettazione distante dal cuore, il banale galateo. Scrive Annapaola: “chiedere il permesso quando entriamo nel loro mondo”. Sono semplici, essenziali e umane regole oltre che metodo procedurale buono a tutte le età, persino per il suo bambino!
Alcune parole sembrano oggi in via di estinzione dal nostro linguaggio e in modo specifico dai bordi etici del nostro vocabolario: Rispetto, Responsabilità, Riservatezza, Ascolto, Pazienza, Silenzio, Umiltà intelligente, Dignità, Pudore, Coerenza, Riflessione, Sacrificio, Autocritica, Empatia, Doveri (ci ricordiamo solamente dei Diritti), Lentezza, Eleganza, Sobrietà, il fascino discreto della Gentilezza. Bisogna ristabilirne l’uso e applicarne i sentimenti ad esse legati poiché sono indispensabili nell’impegno del prendersi cura della fragilità inerme e della vulnerabilità altrimenti senza riparo.
Come accade nella Persona non malata, anche in quella con demenza troppo spesso la sofferenza è Storia non raccontata: dare parole al passato e curarlo è il nostro difficile compito, mettendo a fuoco l’invisibile.
De Gregori canterebbe “la Storia siamo noi, siamo noi questo piatto di grano…”.
Ferdinando Schiavo