La maggiore sopravvivenza delle donne (aumento della speranza di vita), peraltro l’ospite prevalente nelle residenze per anziani, le espone ulteriormente, rispetto agli uomini, ad un tasso di fragilità più estesa (riduzione degli anni di vita sana) la quale è legata non solamente agli anni di vita guadagnati, ma anche al conseguente consumo di farmaci, a cui peraltro rispondono in modo differente e con un più elevato carico di eventi avversi: le malattie da farmaci preferiscono le donne!
Quanto accennato consente di aprire una parentesi interessante, di parlare di Medicina di genere. La biologia di genere contribuisce dunque all’aumento di casi clinici ed umani di “malattie da farmaci” e descrive un aspetto intrigante per decenni colpevolmente sottovalutato: quando si parla di salute, il genere, cioè quell’insieme di differenze sessuali, ma anche genetiche, culturali, sociali e comportamentali che strutturano l’identità di ciascun individuo, influisce biologicamente sul modo in cui una malattia si sviluppa, viene diagnosticata e curata.
Essere uomo o donna fa molta differenza quando si parla di salute, ma questa verità non è da tutti conosciuta, anche da buona parte dei medici. La medicina è stata concepita, infatti, dai maschi per i maschi e per decenni sintomi, diagnosi, accertamenti e farmaci che “andavano bene per gli uomini” dovevano andar bene anche per le donne! Se un farmaco va bene ad un maschio, perché spendere soldi per provare che funziona anche nella donna? In questa ottica, i medicinali sono stati testati per molti anni e vengono testati tuttora quasi esclusivamente o in modo prevalente su “giovani, adulti, maschi”. Giovani adulti, perché sono meno problematici degli anziani col loro carico di patologie e di vari farmaci assunti per curarle o prevenirle; maschi, in quanto sono privi delle variazioni ormonali legate al ciclo mestruale e a gravidanze sia durante la sperimentazione che successive: si pensi all’eventualità di partorire anni dopo figli malformati e al conseguente carico di risvolti legali e di costosi risarcimenti da parte delle industrie farmaceutiche!
Persino nella ricerca farmacologica sugli animali si è consolidato tale rapporto ineguale, essendo privilegiati (per modo di dire…) i soggetti di sesso maschile.
Questa diversità ignorata ha comportato e comporta tuttora nel lavoro del medico errori diagnostici e terapeutici, disagi psicologici delle persone malate e disuguaglianze nel campo dei diritti.
La Medicina di genere non intende affrontare lo studio delle patologie che coinvolgono prevalentemente gli uomini o le donne, ma quello delle patologie che colpiscono entrambi i generi, hanno storia clinica dissimile e richiedono una risposta medica e organizzativa diversa.
Descrivo qui un unico esempio di clamorosa disparità che riguarda una patologia seria, in quanto rappresenta la prima causa di morte nel mondo occidentale, la cardiopatia ischemica. A livello clinico esiste una differenza sostanziale di genere: nella donna il dolore da angina pectoris o da infarto cardiaco si manifesta molto spesso in modo differente. Vari studi recenti, tra cui il WISE, hanno infatti confermato che nella donna i sintomi sono spesso atipici: il dolore è spesso irradiato alle spalle, al dorso e al collo, si associa ad una difficoltà di respirazione, spesso a nausea, vomito, sudorazione fredda, spossatezza, sintomi influenzali. Si tratta con chiara evidenza di segnali “diversi” da quelli che generazioni di medici hanno imparato e praticato da quando nel 1768 William Heberden pubblicò il suo studio basato su 100 casi (di cui solo 3 donne…) sui sintomi caratteristici dell’ angina pectoris: dolore restrosternale, spesso irradiato al braccio sinistro, ecc. che persino i bambini conoscono.
Dopo 250 anni la definizione classica permane nei libri di testo e le conseguenze sono palpabili: in assenza di sintomi classici, la donna con un episodio ischemico cardiaco in atto, subisce un iter diagnostico e terapeutico diverso, che può comprendere delle false strade: accertamenti gastroenterici o comunque su patologie differenti da quella cardiaca con conseguente perdita di tempo prezioso, a cui può seguire un ricovero, ma NON in terapia intensiva coronarica dove potrebbe essere sottoposta alle tempestive e idonee cure del caso, mediche o invasive (applicazione di stent coronarici, ecc.) o cardiochirurgiche.
I dati del Progetto di Supervisione di un campione di ospiti in istituti e centri diurni per Anziani (Progetto SA). Studio preliminare.
Uno sguardo in più sull’anziano fragile in casa di riposo e in diurno.
Abstract
Nel mondo industrializzato i miglioramenti in campo sanitario e socio-economico hanno ridotto in modo drastico la mortalità per malattie infettive e carenziali determinando una maggiore sopravvivenza. Tuttavia, l’ invecchiamento della popolazione ha incrementato condizioni mediche legate alla cronicità, alla fragilità, alla disabilità e, infine, alla dipendenza funzionale dagli altri. In conseguenza di ciò, in questi ultimi anni i contemporanei cambiamenti avvenuti nella struttura della società e nell’ assetto della famiglia, che è ritenuta peraltro l’ammortizzatore sociale più importante, stanno incidendo progressivamente sull’ aumento della domanda di cura e sostegno delle persone anziane negli ambulatori, negli ospedali, ed infine nelle strutture di accoglienza, diurni e residenze, quando non è più possibile assisterle adeguatamente nel proprio domicilio.
Il livello delle cure che quotidianamente vengono fornite ai pazienti geriatrici, e quindi anche nelle residenze per anziani, sta diventando sempre più complesso. Anche per tale motivo questo tipo di popolazione fragile richiede sensibilità, conoscenza ed esperienza gerontologica e una metodologia di lavoro professionale attenta a evitare il più possibile le prevedibili complicazioni a cascata, tra cui hanno un ruolo le cadute con le relative conseguenze, fino alla sindrome da immobilizzazione, e le malattie da farmaci. Molti sintomi o segni che si incontrano nella medicina generale e in neurologia, peraltro, possono essere indotti da farmaci e a volte, associandosi fra di loro, in modo peculiare nell’anziano, possono dar luogo a episodi confusionali (delirium) oppure a manifestazioni di interesse neurologico di vario tipo che molto spesso “assomigliano” ad alcuni importanti e noti quadri clinici, come le demenze, la malattia di Parkinson, l’epilessia.
La proposta di un Progetto di Supervisione di Anziani ospiti in strutture (Progetto SA) ha posto il tema delle demenze come compito primario della ricerca: tra le malattie di rilievo, adesso e progressivamente nell’immediato futuro, le demenze rappresentano una reale emergenza per la sanità e per la società (famiglia compresa) e, tuttavia, sono malattie ampiamente sottovalutate e soggette a malpratica medica. Stesso destino subiscono altre patologie neurogeriatriche frequenti negli anziani, spesso in rapporto con le demenze: il delirium (episodi confusionali, molto frequenti negli ospedali), i parkinsonismi, i disturbi di equilibrio, le cadute, le perdite di coscienza, le vasculopatie cerebrali, la depressione, l’apatia ed infine le manifestazioni da eventi avversi da farmaci.
Il Progetto SA è nato con l’intento di valutare obiettivamente le condizioni mediche degli ospiti di un diurno e di una residenza per anziani (RA), allo scopo di fornire dei suggerimenti su come migliorarle attraverso:
- la verifica dell’esistenza di punti critici nell’accuratezza della valutazione dello stato generale e neurologico dei pazienti e in particolare del rilevamento di quadri di alterazione cognitiva e quelli secondari all’uso inappropriato dei farmaci;
- la segnalazione e la proposta di suggerimenti e soluzioni ai medici, al personale infermieristico e ai familiari, invitandoli a collaborare nel migliorare la qualità dell’approccio alle patologie dell’anziano fragile o malato e la loro gestione clinica, al fine di ridurre stress e disagio del paziente stesso, dei familiari e degli operatori della struttura.
Hanno aderito e sono stati successivamente esaminati 45 soggetti attraverso una prima valutazione e, nei casi in cui è stata ritenuta necessaria (42 su 45), una rivalutazione in presenza di un familiare.
Il Progetto SA ha messo in luce diversi atteggiamenti operativi su cui è possibile agire in futuro con un cambio di rotta:
- ha confermato, con una netta prevalenza nella RA, i dati attesi sull’età media nelle due diverse realtà residenziali, la quantità di farmaci crescente con l’aumento dell’età e la preponderanza del genere femminile, elemento rilevante in quanto incita alla conoscenza della Medicina di genere: tra RA e Diurno le donne rappresentano 34 su 45 partecipanti
- ha ribadito anche la presenza del fenomeno della sottovalutazione della diagnosi nell’ambito cognitivo (MCI[1] o demenza) rilevando che tutti i partecipanti erano affetti da demenza o MCI, che 27 su 45 non erano stati affatto studiati sotto il profilo cognitivo e riconosciuti come portatori di deficit cognitivi: il fenomeno è apparso più evidente nella RA, dove il mancato apprezzamento di questo dato è avvenuto in 22 su 26 partecipanti. Tutti e 45 i partecipanti, quindi, avevano disturbi cognitivi di vario grado tra il lieve ed il moderato, secondo la valutazione clinica e con il test MMSE[2]
- ha permesso di evidenziare quadri clinici nei quali erano protagonisti negativi i farmaci, sia in ambito neurologico che extraneurologico: parkinsonismo, atassia, ipoglicemia, edemi distali agli arti inferiori, ipotensione arteriosa, anemia grave
Il Progetto SA ha confermato che complessità, fragilità e cronicità nel mondo degli anziani ospiti di RA rendono estremamente necessari atteggiamenti operativi diversi dagli attuali e che la sottovalutazione di quadri di interesse neurogeriatrico è tuttora presente, crea disagi e sofferenze personali e nella famiglia, amplifica la spesa sanitaria e sociale in un momento storico ed economico in cui potrebbero essere in discussione i principi del nostro welfare e persino i diritti dei più deboli.
La supervisione è una procedura utile per il benessere delle persone anziane e rappresenta un ulteriore stimolo alla collaborazione tra le diverse figure professionali coinvolte nella cura, e tra queste ed i familiari e i pazienti stessi.
Il lavoro può essere preso in visione in forma estesa su richiesta tramite il sito www.alzheimerudine.it.
[1] MCI (Mild Cognitive Impairment) o deterioramento cognitivo lieve. Lo si considera come la frontiera o stato di transizione, discutibile, tra l’invecchiamento normale e la demenza.
[2] Mini Mental State Examination.