Quando ci siamo incontrati per la prima volta Cesira mi sembrava di conoscerla da sempre. Ero stato chiamato dai nipoti per sottoporla ad una visita affinché potesse far testamento dall’alto dei suoi 93 anni ben portati, testimoni dell’antico fascino e di quella certa grazia che aveva fatto innamorare – me lo aveva voluto dire con un tocco di giustificata vanità – ufficiali italiani e tedeschi di stanza in Friuli durante l’ultima guerra mondiale. Ancora bella, di quella bellezza carismatica residua agli anni, curata nel corpo, alta e ben vestita, sveglia, ironica e spiritosa.
La richiesta del suo notaio ci aveva fatto incrociare: serviva una valutazione neurologica che attestasse le sue abilità cognitive, memoria ed il resto, tra cui soprattutto la capacità di intendere e di volere, come recita aridamente la legge. Era necessaria per poter redigere correttamente un testamento ed evitare sorprese e contestazioni future da parte di eredi scontenti.
Stava benissimo a parte i dolori ossei ed articolari ad un ginocchio, noti da anni, che la limitavano abbastanza. Aveva superato in modo fantastico il colloquio e un test breve cognitivo, il solito Mini Mental (MMSE). Ora poteva tornare dal notaio a testa alta!
Ma stava finendo l’estate. Così, prima dell’incombenza burocratica era andata a godersi l’ultimo sole di settembre nella sua casetta al mare. Qui, maledette scale, era caduta e si era fratturata il femore per fortuna (!?) dallo stesso lato del ginocchio malandato.
L’intervento chirurgico era stato superato senza stati confusionali a rimorchio (il fatidico delirium che imperversa nelle chirurgie quando la malasorte sfiora gli anziani!) e nemmeno altre facili complicazioni a parte qualche iniziale e sporadico fenomeno di vomito dovuto probabilmente a difficoltà digestive legate alla postura a letto e poi in carrozzina, in quanto la fisioterapia tardava a dare i suoi frutti a causa delle preesistenti limitazioni articolari al ginocchio.
Quando l’ho visitata nell’ottobre 2013 presso una residenza per anziani, era in carrozzina. Aveva perso lo sguardo ironico e pungente, la mimica e i gesti spontanei in generale si erano assopiti e così anche quelle che noi chiamiamo freddamente le abilità cognitive: l’attenzione, la memoria, lo stesso linguaggio, le abilità organizzative che silenziosamente ci aiutano a programmare ed eseguire gesti e sequenze più o meno complesse, e quelle altre che traducono i messaggi rilevati dagli occhi in significati utili ad una vita normale.
Al test MMSE stavolta aveva ottenuto un 18\30 grezzo rispetto al 28\28 di quasi due mesi prima a casa sua!
Insomma, la mia splendida Cesira stava vivendo un’esperienza di parkinsonismo senza tremori condito da alterazioni cognitive che facevano immaginare ai più una iniziale demenza con parkinsonismo.
Cosa poteva averla condotta a quello stato?
Senza cadere nelle trappole dell’ageismo (cosa vuoi che sia! A 93 anni suonati, cosa puoi fare?) e lavorando alla stregua del mitico tenente Colombo, anche se il mio impermeabile era in condizioni migliori del suo di scena, ho fatto le consuete domande: “ha battuto la testa? ha avuto svenimenti? la bocca “storta” o un braccio penzoloni, un problema al linguaggio? prende sedativi per dormire? ha il sodio nel sangue basso, è molto anemica?”
La risposta a tutte le mie domande da parte delle nipoti e dell’infermiera della struttura venuta ad aiutarmi era stata tassativamente NO.
Alla visita non aveva deficit motori o sensitivi, la lieve anemia non poteva giustificare i sintomi, gli ipotensivi erano stati sospesi perché la pressione arteriosa tendeva al basso.
Mi da gentilmente la scheda della terapia farmacologica?
Era l’ultima speranza, un errore nel trattamento con farmaci, una svista che permettesse la supposizione di una diagnosi alternativa e magari ricca di speranza. Anche a 93 anni!
La lettura della scheda dei farmaci e della cartella clinica aveva illuminato il tutto: una terapia iniziale con levo-sulpiride (Levopraid), che era stata sostituita dopo una settimana dalla metoclopramide (Plasil: 3 compresse al giorno, e da poco più di un mese), l’avevano parkinsonizzata ed anche indementita!
Alle scene conseguenti alla rivelazione sono un po’ abituato da anni di interesse a questo tipo di medicina: solito stupore dell’infermiera e poi del medico prescrittore (“Questi due farmaci possono davvero fare ciò?” Risposta: SI! Li chiamo neurolettici mascherati, sono meno famosi del Serenase e Haldol, i due fratelli pestiferi, ma possono dare gli stessi effetti a breve o lungo termine soprattutto se la persona che li assume è donna ed è anziana…), sguardo incavolato dei nipoti ma complice e speranzoso verso di me, veloce riduzione seguita dalla sospensione del Plasil in una settimana.
Dopo quasi un mese Cesira aveva fatto riaffiorare il suo splendido sorriso e ricomposto i suoi movimenti sciolti, vivaci, spontanei ed eleganti, almeno in quella parte del corpo, la superiore, priva di problemi articolari.
Questo finale mi ha riempito il cuore di gioia!
A conclusione del racconto
Nota informativa importante concordata dall’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) e Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), pervenuta il 22/01/2014. Indicazioni aggiornate e posologia per minimizzare il rischio di effetti indesiderati (principalmente neurologici) della metoclopramide (Plasil, Geffer, Randum, ecc.). Riassunto delle nuove raccomandazioni. Limitazioni della dose e della durata d’impiego. La metoclopramide deve essere prescritta esclusivamente perl’uso a breve termine,rispettando le dosi e gli intervalli raccomandati tra le dosi, al fine di minimizzare i rischi di reazioni avverse neurologiche e di altra tipologia. Pazienti adulti:la metoclopramide è indicata per laprevenzione e il trattamento a breve termine di nausea e vomito.
La durata massima raccomandata del trattamento è di 5 giorni.
Ma si sapeva da anni…
Tratto dal Caso clinico 18 di Malati per forza: gli anziani fragili, il medico e gli eventi avversi neurologici da farmaci. Maggioli Editore 2014.